        Quello che sta per chiudersi &egrave; stato un anno importante per la MotoGP (intesa come Motomondiale) perch&eacute; sono state spente le 75 candeline, ovvero 75 anni di Motomondiale. Ma non solo, il 2024 marca anche il ventennale del primo titolo di Valentino Rossi con Yamaha, il sesto della sua carriera. E proprio di quel titolo ha parlato Davide Brivio, allora team manager Yamaha ed oggi team manager di Aprilia Trackhouse, in una intervista con Crash.net ricordando come all&rsquo;epoca dei fatti qualcuno in Yamaha fosse contrario all&rsquo;ingaggio di Rossi, allora 5 volte iridato e reduce dal biennio stellare con la Honda RC211V.&nbsp;  La mentalit&agrave; Yamaha cambiata con l&rsquo;ingaggio di Rossi  &ldquo;Quando parlavamo con Valentino &ndash; racconta Brivio &ndash; c&rsquo;era un modo di pensare diverso in Yamaha, alcuni erano restii all&rsquo;idea di firmarlo perch&eacute; dicevano: &ldquo;E un pluri campione del mondo: se viene in Yamaha e non vince, &egrave; un errore di Yamaha. Se vinciamo &egrave; merito di Valentino, quindi non ci guadagniamo nulla a livello di brand&rdquo;. Questo era uno dei modi di pensare, e la cultura era che era importante la moto. Qualcuno in Yamaha diceva: &ldquo;Non abbiamo bisogno di Valentino perch&eacute; produciamo una moto cos&igrave; buona e forte con la quale ci pu&ograve; vincere qualsiasi pilota.&rdquo;&nbsp; Va ricordato che la Yamaha di quel periodo 2002-2003 era tutt&rsquo;altro che competitiva: nel 2002 Biaggi mette a referto due vittorie mentre nel 2003 arriva solo un podio, al GP di Francia cortesia di Alex Barros, con Checa migliore Yamaha in classifica generale. E Yamaha era a corto di titoli iridati dal lontano 1992 con Wayne Rainey&hellip;Il resto, come si dice, &egrave; storia, con l&rsquo;ingaggio di Rossi a met&agrave; 2003 per il 2004 e Valentino che sposta in blocco il suo team, capitanato da Jeremy Burgess, per rendere la moto quantomeno competitiva e giocarsela contro le Honda. Brivio aggiunge una cosa molto interessante, che &egrave; anche il motivo scatenante dell&rsquo;addio di Rossi ad Honda, ovvero la maggiore importanza della moto sul pilota. &ldquo;La cultura del biennio 2002-2003 era che la moto era la cosa pi&ugrave; importante, qualunque pilota la guidasse. E portando Valentino in Yamaha abbiamo dimostrato che erano importanti entrambe le cose. Sono piuttosto orgoglioso perch&eacute; abbiamo ridato un certo valore all&rsquo;uomo ed allo sport. Lavorando per un costruttore non dovrei dirlo ma penso di aver contribuito a bilanciare un po&rsquo; di pi&ugrave; l&rsquo;importanza del mezzo sul pilota. Ci siamo divertiti tanto, &egrave; come se oggi un Pecco Bagnaia lasciasse Ducati non contento della situazione e decidesse di andare in un costruttore non vincente e vincere il titolo l&rsquo;anno successivo. Era la situazione all&rsquo;epoca, una cosa grande e molto bella. Ho imparato tanto. Devo dire che Valentino ha cambiato la mentalit&agrave; e la cultura, quella delle gare, di Yamaha.&rdquo; Continua l'articolo nella prossima pagina &nbsp; La Yamaha senza Rossi?  L&rsquo;ultimo passaggio dell&rsquo;intervista di Brivio &egrave; legato ad un grande &ldquo;what if&rdquo;, ovvero cosa sarebbe successo a Yamaha senza l&rsquo;ingaggio di Rossi. &ldquo;Se Valentino non fosse venuto in Yamaha, Yamaha avrebbe comunque tentato di fare una buona moto. Magari ci sarebbe voluto pi&ugrave; tempo per fare una buona moto, creare la giusta confidenza nei piloti e provare ad ingaggiare un pilota top nei successivi 2-3 anni e vincere. Probabilmente Jorge Lorenzo sarebbe arrivato pi&ugrave; tardi o un altro pilota e magari vincere ma dopo 2-3-4 anni.&rdquo;       

&ldquo;Se viene in Yamaha e non vince &egrave; un errore di Yamaha&rdquo; racconta l&rsquo;attuale team manager di Aprilia Trackhouse

MotoGP, Davide Brivio senza mezzi termini: “Qualcuno in Yamaha non voleva Rossi”

        La notizia pi&ugrave; importante di questi ultimi giorni &egrave; senza ombra di dubbio quella riguardante il ritorno del Brasile nel calendario della MotoGP dopo oltre un ventennio di assenza, visto che a partire dal 2026 il Motomondiale disputer&agrave; un Gran Premio sul circuito di Goiania (tracciato che ha gi&agrave; ospitato il mondiale alla fine degli anni '80). Una notizia che pu&ograve; avere risvolti interessanti anche per quel che riguarda il mercato piloti, visto che tra gli astri nascenti delle classi propedeutiche ce n'&egrave; anche uno brasiliano. SBK: Razgatlioglu porta il numero 1 sulla BMW per la prima volta  Moreira verso la MotoGP nel 2026?  Stiamo chiaramente parlando di Diogo Moreira, classe 2004 che quest'anno ha conquistato il titolo di Rookie of the Year in Moto2 e che nella prossima stagione sar&agrave; uno degli attesi protagonisti della classe intermedia con i colori del team Italtrans. Il nativo di San Paolo ha vissuto un anno di debutto in crescendo, culminato con uno splendido podio nell'ultimo Gran Premio a Barcellona, e in caso di buoni risultati potrebbe convincere qualche squadra (con l'aiuto di Dorna...) a puntare su di lui in top class proprio per il 2026 potendo cos&igrave; contare su un brasiliano in MotoGP gi&agrave; nell'anno del ritorno del circus nel Paese sudamericano. Nel caso in cui Diogo dovesse approdare nella classe regina, il Brasile avrebbe nuovamente un rappresentante a tempo pieno nella categoria come non accadeva dai tempi di Alex Barros, in pista fino al 2007 e vincitore di sette gare tra 500 e MotoGP, ma non sar&agrave; semplice per Moreira visto che non saranno molte le selle disponibili nel 2026, anche se tra VR46, LCR, Pramac e HRC qualche spiraglio potrebbe aprirsi. Quel che &egrave; certo, &egrave; che (considerando anche Eric Granado, ormai da anni protagonista assoluto in MotoE) il movimento motociclistico brasiliano sta finalmente tornando in alto a livello internazionale come non accadeva da tempo. Niente TT con la Ducati: TAS Racing si prende una pausa dalle road races       

Con l'annuncio di un Gran Premio a Goiania dal 2026, &egrave; lecito aspettarsi che il giovane talento paulista, ora in Moto2, possa arrivare presto in classe regina

MotoGP: il ritorno del Brasile favorirà l'approdo di Moreira in top class?

        Ducati come Honda in Thailandia. Oddio, mica tanto: la Casa di Borgo Panigale ha siglato Pole Position e vinto la Sprint MotoGP, mentre l'Ala Dorata nemmeno si &egrave; vista. Quindi, cosa accomuna i due Marchi, cos&igrave; diversi ma simili a Buriram? Una statistica storica: nelle prime 8 posizioni della gara breve sono giunte al traguardo altrettante Desmosedici. Tutte. Ci era riuscito il colosso di Tokio nel 1996 in Catalunya. Era la classe 500 due tempi.&nbsp; Desmosedici inarrivabili in MotoGP, ma la pacchia (numerica) sta per finire Perch&eacute; "pacchia?" Semplice: nella entry list del campionato troviamo l'iscrizione di ben 8 Ducati, con le due Desmosedici Lenovo Factory, due Prima Pramac, due Gresini Racing e due Pertamina Enduro VR46. Abbiamo quattro Desmosedici GP24 e quattro GP23. Grosso divario patito dalla concorrenza, evidentemente prestazionale, altrettanto in termini di contingenza. KTM schiera quattro RC16, Aprilia quattro RS-GP, Honda quattro RC213 V, mentre Yamaha ha solamente due M1. Borgo Panigale ha il doppio di MotoGP sul costruttore austriaco, veneto e di Tokio e, nel caso dei tre diapason, il quadruplo. La legge dei grandi numeri favorisce chi gestisce e schiera le quattro cilindri bolognesi, anche se, tra poco, ne saranno smarrite due. Nota &egrave; la notizia che proprio Pramac Racing sia prossimo a salutare le Ducati, accettando la sfida Yamaha. Qualcosa cambier&agrave; nei risultati finali? Non si sa, risponder&agrave; la pista. Chiaro &egrave; che a Iwata sono contenti di raddoppiare la presenza in griglia. Honda NSR come le Ducati Desmosedici Eccoci all'anticipata edizione 1996 iridata. Si correva equipaggiati da propulsori due tempi, altro che i quattro tempi attuali. Il miglior prototipo dell'epoca - lunga epoca - era la NSR, firmata Honda sulle carene. Nel Gran Premio di Catalunya, ben 8 moto giapponesi hanno occupato le prime 8 posizioni d'arrivo. Carlos Checa, Michael Doohan, Alex Criville. Luca Cadalora, Tadayuki Okada, Snichi Itoh, Albero Puig e Alex Barros. Solo Sol Levante in quella domenica 15 settembre. Pensate: Loris Capirossi, nono, guidava una Yamaha YZR, come Norifumi Abe appena dopo, mentre Scott Russell conduceva la Suzuki RGV. Il presente Ducati ricorda il passato ma, tornando al 1996, dobbiamo pure citare un altro curioso dato. Suzuka, tappa unaugurale della stagione. Il Gigante di Tokio, giocando in casa, port&ograve; qualcosa come 9 NSR ai blocchi di partenza. Eccellente, indovinate chi vinse? La Yamaha del mitico Abe.&nbsp;        

Otto Desmosedici nelle prime otto posizioni a Buriram, come le altrettante NSR in Catalunya nel 1996: il record &egrave; copiabile ma non perfettibile

GP Thailandia, Ducati come Honda: dominio assoluto in MotoGP

        Il 17 agosto 2024 &egrave; una data che potrebbe diventare storica per la Ducati, specialmente se nei prossimi anni dovesse conquistare titoli mondiali nel Motocross, dopo l&rsquo;abbuffata in MotoGP e Superbike. Nel primo turno di libere, ad Arnhem (Paesi Bassi), Tony Cairoli ha ottenuto il 12&deg; tempo della MXGP a 2&rdquo;886 da Jeffrey Herlings (KTM). Tre ore dopo nelle cronometrate il siciliano si &egrave; migliorato di tre secondi e otto decimi ma &egrave; sceso al 14&deg; posto e il suo ritardo da Jorge Prado (GASGAS) &egrave; salito a 3&rdquo;647. I primati della famiglia Dunlop | Quella (S)Volta Che I debutti Ducati: Capirossi e Cairoli  Decisamente meglio &egrave; andata la manche di qualifica, con il nove volte iridato settimo al traguardo, a 33&rdquo;712 da Glenn Coldenhoff (Fantic), dopo aver occupato la quarta piazza nei primi quattro giri. Settimo, il ducatista lo &egrave; stato anche nella graduatoria dei migliori giri della manche, a 2&rdquo;333 da Romain Febvre (Kawasaki). In Gara 1 Cairoli &egrave; giunto 15&deg; a un minuto e 46 secondi da Herlings, ma il suo miglior giro &egrave; stato soltanto il 21&deg;, a 7&rdquo;390 da Prado, a 5&rdquo;659 da Herlings e 5&rdquo;637 da Tim Gajser (Honda). In Gara 2 Cairoli si &egrave; ritirato quando era nono, ma il suo miglior crono &egrave; stato il sesto, appena 86 millesimi sopra quello di Romain Febvre (Kawasaki), a 3&rdquo;065 da Prado. Il bilancio appare positivo, anche se probabilmente la Ducati, abituata a dominare, si aspettava qualcosa di meglio. D&rsquo;altro canto, quando debutt&ograve; in MotoGP, nel 2003, mostr&ograve; subito di che pasta fosse la Desmosedici. L&rsquo;esordio in un GP avvenne il 4 aprile, a Suzuka (Giappone). Dopo quattro minuti e 37 secondi delle libere Loris Capirossi pass&ograve; in testa alla classifica dei tempi. La gioia dei ducatisti dur&ograve; due minuti e sei secondi, necessari a Max Biaggi (Honda) per portarsi al comando. L&rsquo;imolese torn&ograve; in testa dopo tre quarti d&rsquo;ora ma fu poi scalzato da Valentino Rossi, all&rsquo;ultima stagione con l&rsquo;Ala Dorata. Nel finale per&ograve; Capirossi riusc&igrave; ad abbassare il tempo del Dottore di 28 millesimi, sfuggendo all&rsquo;ultimo assalto del campione in carica. A fine turno, il primo in MotoGP, la Ducati capeggiava la classifica con quattro Honda alle calcagna. Sesta la prima Yamaha con Alex Barros, distanziato di 735 millesimi. Settima l&rsquo;Aprilia con Noriyuki Haga, lontano un secondo e 163 millesimi. Soltanto nona la prima Suzuki, con John Hokpins attardato di 1&rdquo;276. Capirossi fece segnare anche il picco di velocit&agrave; con 313,6 km/h mentre Troy Bayliss (autore dell&rsquo;11&deg; tempo) con la moto gemella si &ldquo;limit&ograve;&rdquo; a 307,3 km/h, comunque superiore alle top speed di Yamaha e Suzuki. Nel primo turno di qualifica per&ograve; entrambe le Ducati scivolarono indietro: Bayliss tredicesimo a 2&rdquo;309 da Valentino e Capirossi quindicesimo a 2&rdquo;487, nonostante velocit&agrave; quasi identiche ai migliori. Con il bagnato e soli nove gradi sull&rsquo;asfalto, nelle seconde libere Bayliss fece valere lo spirito di adattamento concludendo secondo a 338 millesimi da Rossi mentre Capirossi fu decimo a due secondi e mezzo. Il maltempo continu&ograve; a imperversare e la griglia non cambi&ograve; pi&ugrave;. In gara per&ograve; Capirex fu autore di uno scatto fenomenale e per i primi quattro giri rest&ograve; davanti a tutti, salvo concludere terzo dietro Rossi e Biaggi, per un podio tutto italiano, mentre Bayliss chiuse quinto. Quel giorno soltanto le Honda precedettero i prototipi bolognesi e fu quindi evidente che la prima vittoria sarebbe stata soltanto questione di settimane (per la precisione dieci). Nel Cross, per aspirare al successo la Ducati dovr&agrave; vedersela con il Gruppo KTM, tre marchi giapponesi e la Fantic. Avversari che renderanno pi&ugrave; difficile l&rsquo;eventuale successo. Ma altrettanto gratificante. Jett Lawrence torna sulla Terra | Quella (S)Volta Che       

Il settimo posto di Tony nella manche di qualifica della MXGP in Olanda &egrave; stato incoraggiante, ma rispetto alla prima della Desmosedici in MotoGP...

MotoGP, MXGP: Capirossi-Cairoli. i debutti Ducati | Quella (S)volta Che

        La Ducati ha ricevuto e riceve critiche asprissime, riguardante il numero di MotoGP schierate in griglia. Sono otto, distriuite su quattro team: Lenovo, Prima Pramac, Gresini Racing, Pertamina Enduro VR46. Le Desmosedici, stando alle parole dei pareri positivi, sono i migliori prototipi della classe regina. Le parole negative dicono, per&ograve;, che otto unit&agrave; sia cifra sbilanciata a favore negli oridini di classifica. Impossibile competere contro le Rosse, ma un marchio diverso gi&agrave; aveva fatto lo stesso. E' stata la Honda con le sue NSR. Leggi anche: MotoGP, ufficiale: Bezzecchi in Aprilia dal 2025 Honda 1996: nove moto a Suzuka, ma vinse la Yamaha con Abe Ne aveva per tutti i gusti: quattro cilindri e due cilindri. Era la stagione 1996 della classe 500, caratterizzata dall'Ala Dorata in termini di classifica. Nella foto di copertina scattata a Suzuka possiamo riconoscere Michael Doohan, Luca Cadalora, Alex Criville, Tadayuki Okada, Alex Barros, Alberto Puig, Carlos Checa, Shinichi Itoh e Takuma Aoki.&nbsp; Un contingente impressionate, rappresentato dalle formazioni Repsol, Kanemoto, Pileri e Fortuna Pons, pi&ugrave; la wild card "interna" HRC. Oltre a "occupare" gran parte dei box, il gigante di Tokio e ha ricoperto le migliori posizioni delle tabelle iridate, come spiegato dal quartetto finale costituito da Doohan, Criville, Cadalora e Barros. La Yamaha di Norifumi Abe spezzava il dominio, ma titolo Piloti, Costruttori e Team andarono in casa Honda. C'&egrave; un per&ograve;, e pure grosso: vero, l'Ala Dorata si impose nelle classifiche, ma a Suzuka in occasione del Gran Premio Giappone vinse una Yamaha. Era il 21 aprile, domenica. Norifumi Abe e la sua guida indiavolata inginocchiarono il Gigante, facendo la storia.  Leggi anche: MotoGP, Bezzecchi e Martin in Aprilia: lanciata la sfida a Ducati Anche Ducati ha schierato nove MotoGP, pi&ugrave; di una volta Un altro esempio storico, MotoGP del Mugello edizione 2023. Occhio alla lista dei partenti, in cui Ducati prevale grazie alle nove Desmosedici totali. A titolari Pecco Bagnaia. Enea Bastanini, Alex Marquez, Fabio Di Giannantonio, Luca Marini, Marco Bezzecchi, Johann Zarco e Jorge Martin si aggiunse Michele Pirro. Wild card per il pugliese, non concessagli quest'anno dalle Concessioni relative al Regolamento Tecnico. Sembra un gioco di parole, non lo &egrave;. Fino a quando la Rossa domina, i favori delle "fasce" sono destinati ad altre Case. Honda, per rimanere in tema, ne sta fruendo. Inutilmente.         

Gran Premio 1996 con tante NSR in pista, ma vinse... la Yamaha di Abe

MotoGP, troppe otto Ducati? Honda ne schierò nove a Suzuka

        La verit&agrave;, Mick Doohan si era abituato a non dirla. In particolare agli ingegneri, quando la sua Honda funzionava come uno Stradivari. A orientarlo in questa direzione era il rischio che il reparto corse giapponese abbassasse la guardia sul fronte dello sviluppo. Il ritornello con i tecnici era sempre: fare di pi&ugrave;, essere ancora pi&ugrave; virtuosi. Tanto che nel 1999, il suo ultimo anno in sella, l&rsquo;australiano aveva convinto l&rsquo;HRC a fornirgli una moto particolare. Oltre alle due NSR 500 ufficiali, come da prassi, nel suo box c&rsquo;era una terza versione nata come esperimento per sistemare il punto debole delle mezzo litro che pure gli avevano portato 54 vittorie nella classe regina, tradotte in cinque Mondiali consecutivi. Passa alla prossima pagina Johnny Cecotto, bello e dannato | Storie Sprint &nbsp; Storie Sprint: Mick Doohan  Da sempre, la due tempi nipponica a centro curva non girava, e per Doohan era un problema: cos&igrave; il marchio del Sol Levante aveva elaborato un telaio molto simile a quello della Yamaha, il riferimento in quel dettaglio. Che la moto &ldquo;laboratorio&rdquo; fosse stata realizzata soltanto per assecondare le richieste dell&rsquo;australiano divenne chiaro dal terzo GP della stagione, quando il campione in carica incapp&ograve; a Jerez nella caduta che lo spinse al ritiro: da quel momento, la terza moto non si vide pi&ugrave;. Neppure l&rsquo;australiano sa che fine abbia fatto. Doohan definisce questo episodio come lo specchio dell&rsquo;attenzione che dedicava all&rsquo;arte di motivare gli uomini HRC, con cui il rapporto era iniziato una decina d&rsquo;anni prima, nel 1989, quando aveva 23 anni. Per lui, l&rsquo;esordio era stato con un pacchetto tecnico lontano dai migliori: nella prima stagione aveva chiuso a meno di 30 secondi dalla vetta soltanto tre volte. Nell&rsquo;anno successivo firm&ograve; la prima pole alla terza gara e vinse alla penultima, in Ungheria. Poi la conferma, con il titolo del 1991 perso per nove punti e l&rsquo;annata successiva iniziata alla grande: cinque successi e due podi nei primi sette appuntamenti, prima dell&rsquo;infortunio che rischi&ograve; di diventare la tomba della sua carriera. Una gamba quasi amputata, quattro GP saltati e il titolo sfumato per quattro punti. I rivali erano Wayne Rainey e Kevin Schwantz, nemmeno loro capaci di sfuggire a barelle e infermerie in un periodo in cui il ritiro non era una scelta propria, ma la conseguenza dei problemi fisici. Dal suo infortunio peggiore Doohan riemerse come un tornado e dal 1994 spazz&ograve; via una concorrenza rimasta orfana prima di Rainey e poi di Schwantz. Tre anni pi&ugrave; tardi firm&ograve; il dominio pi&ugrave; schiacciante: vinse 12 gare su 15, con l&rsquo;unico zero nell&rsquo;ultimo round, a ennesima prova della sua determinazione e testardaggine. A una decina di giri dalla bandiera a scacchi del GP Australia, l&rsquo;ufficiale Honda guidava la corsa con un margine immenso, eppure continu&ograve; a spingere come un dannato siglando il giro veloce. Ma poi perse l&rsquo;anteriore della sua NSR, provando comunque a tenerla su. Per lui quello di Phillip Island era un circuito stregato: ci ha vinto una sola volta, l&rsquo;anno dopo, a poche gare da un ritiro non programmato, a causa del volo a 180 all&rsquo;ora a Jerez. Numerose fratture, tanto bast&ograve; per alzare bandiera bianca dopo aver dominato un&rsquo;era. Un koala come mascotte, lo stile di guida avvitato in sella, sui fianchi delle Honda le livree Rothmans prima e Repsol poi. Fumo e lubrificante, tabacco e carburante, per un pilota con il fuoco dentro. Ma quando le cose andavano lisce come l&rsquo;olio, non lo ammetteva mai. Soprattutto agli ingegneri. Il GP della tua pole numero uno, Jerez 1990: caduto in prova, ti si incastr&ograve; una gamba nella parte posteriore della moto, tanto che i commissari impiegarono parecchio per liberarti. In gara scattasti male, recuperasti firmando il giro veloce, finendo per&ograve; fuori dal podio, quarto.  &ldquo;Stavo ancora cercando di capire le 500: prototipi molto leggeri, attorno ai 115 chili di peso, con telai rigidi, completamente diversi da quelli che avevo utilizzato fino a quel punto. Avevo esordito nel Motomondiale l&rsquo;anno precedente, mentre nel 1988 avevo corso con una Superbike e nella stagione prima con una Yamaha 250 derivata di serie che avr&agrave; avuto meno del 30% della potenza delle mezzo litro. Il salto fu decisamente grande: mi dovevo adattare, e se fare un giro veloce era una cosa, avere la fiducia necessaria per andare al massimo in tutta la gara era differente&rdquo;.  Nel 1989 avevi esordito come pilota Honda: il tuo materiale era come quello dei piloti di punta, Eddie Lawson e Wayne Gardner?  &ldquo;Non direi. Se non sbaglio il mio telaio era sette versioni pi&ugrave; indietro del loro- Poi c&rsquo;era la questione pneumatici: certi ufficiali ricevevano le gomme migliori, noi prendevamo il resto. La differenza sul giro, in qualifica, poteva essere di un secondo. C&rsquo;era praticamente una gara nella gara, decisa da questi aspetti&rdquo;.  Era una situazione difficile da accettare?  &ldquo;Diciamo che ci ho dovuto fare i conti. Poi arriv&ograve; la Suzuki, che mi fece un&rsquo;offerta per il 1991: mi voleva accanto a Schwantz. Restai in Honda perch&eacute; ebbi la garanzia di ottenere lo stesso materiale degli altri ufficiali. Nel team non ci sarebbe stato pi&ugrave; un numero uno, le novit&agrave; tecniche sarebbero state distribuite in modo equo&rdquo;.  A proposito di Schwantz: delle cinque volate per il primo posto che vi hanno coinvolti, ne hai vinta una e perse quattro.  &ldquo;Kevin era un pilota sensazionale, faceva cose straordinarie. Uno dei pi&ugrave; talentuosi contro cui abbia corso. La sua filosofia era rischiare tutto, vincere o cadere, mentre io ero anche disposto ad accettare un secondo posto, o il miglior risultato possibile, perch&eacute; pensavo che una stagione andasse affrontata cos&igrave;. Kevin era veloce, probabilmente il pi&ugrave; coraggioso di tutti noi. Quando gli andava bene trionfava e festeggiava. Quando andava male, finiva con un ruzzolone. Ed &egrave; accaduto spesso&rdquo;.  Passa alla prossima pagina &nbsp; Mick Doohan: intervista esclusiva  Il primo successo arriv&ograve; in Ungheria, su un tracciato pieno di buche e in condizioni critiche, tanto da sollevare le proteste dei piloti perch&eacute; non sicuro: ci voleva del pelo?  &ldquo;In quel caso, penso che quello che descrivi come coraggio fosse il frutto di una fiducia costruita in anni di corse. A ci&ograve; faceva da contraltare la paura, quell&rsquo;ingrediente che a volte ti fa esitare abbastanza da farti evitare un viaggio in ambulanza. L&rsquo;importante era conoscere il limite. Altrimenti sarebbe stato pericoloso: per s&eacute; e per gli altri&rdquo;.  Parlando di incidenti, nel 1993 a Donington generasti la carambola coinvolgendo la coppia Suzuki: tamponasti Alex Barros, finendo poi addosso a Schwantz.  &ldquo;Avevo visto un varco in frenata, ma poi Alex chiuse lo spazio e ci fu il patatrac. Lo tamponai e, cadendo, andai addosso a Schwantz. Un casino: le moto che strisciavano a terra, sembrava di essere al bowling. Per fortuna c&rsquo;era una via di fuga abbastanza ampia davanti a noi. La responsabilit&agrave; fu mia: stavo tentando di approfittare di una situazione e improvvisamente il varco in cui volevo infilarmi non c&rsquo;era pi&ugrave;&rdquo;.  Un salto in avanti fino al 1998: a due minuti dalla fine delle qualifiche di Assen la sessione venne interrotta dalle bandiere rosse. Eri secondo, in prima fila, ma decidesti comunque di rientrare e spingere, chiudendo per un soffio il giro di lancio e poi stampando la pole. Nonostante quattro Mondiali gi&agrave; vinti non lasciavi agli altri nemmeno le Briciole.  &ldquo;Pi&ugrave; vinci, pi&ugrave; vuoi vincere, e pi&ugrave; senti che dovresti vincere. &Egrave; un appetito che viene mangiando. Ero abituato a essere in pole e quando non succedeva ero deluso. In quella specifica occasione, correvamo su una pista in cui i piloti equipaggiati con le Dunlop avevano un vantaggio, mentre io ero con le Michelin, pi&ugrave; costanti da un circuito all&rsquo;altro ma a volte non al livello della concorrenza. Volevo demoralizzare gli avversari, ecco il motivo. Era un gioco mentale&rdquo;.  Cinque titoli vinti e due sfiorati: eri in sella alla moto migliore?  &ldquo;Da pilota non ti senti mai al 100%, pensi che esista sempre del margine per migliorare. In alcune occasioni la mia Honda si comportava in maniera fantastica, ma quando succedeva non lo dicevo agli ingegneri. C&rsquo;era il rischio che si rilassassero. Ecco perch&eacute; nel 1999 nel mio box c&rsquo;era una moto con un telaio copia di quello Yamaha. Ero stato io a spingere per averlo. Appena mi sono ritirato, &egrave; sparito&rdquo;.  Qual era il tallone d&rsquo;Achille delle NSR? &ldquo;Avevano una gran velocit&agrave; di punta, ma non voltavano: era nel loro DNA. Yamaha e Suzuki in inserimento erano pi&ugrave; facili, e a centro curva per noi non c&rsquo;era modo di cambiare la traiettoria impostata, mentre loro riuscivano a chiudere meglio. Noi, per farlo, dovevamo rallentare troppo. Il telaio &egrave; stato il punto debole delle NSR nell&rsquo;arco di tutta la mia carriera, l&rsquo;aspetto a cui ho dedicato pi&ugrave; impegno. Per fortuna, di margine per lavorare ce n&rsquo;era parecchio: non c&rsquo;erano le limitazioni ai test e allo sviluppo come succede oggi in MotoGP. Arrivava sempre qualcosa di nuovo&rdquo;.  Passa alla prossima pagina &nbsp; Mick Doohan il motivatore  Di preciso, su quel fronte qual era il tuo ruolo?  &ldquo;Da pilota, ero la componente organica che l&rsquo;ingegnere non poteva costruire o analizzare. Il tassello che poteva fare la differenza, perch&eacute; riportavo il mio feedback, le sensazioni. In questo senso, le abilit&agrave; risiedono anche nel modo di comunicare: come parli, quali gesti usi e via dicendo. In sostanza, devi farti capire. E non &egrave; cos&igrave; scontato, perch&eacute; hai davanti persone che parlano diverse lingue, dall&rsquo;italiano al francese, e vengono da culture a volte distanti, come quella australiana oppure europea, con approcci e modi di lavorare diversi che devono trovare una sintesi e funzionare&rdquo;.  Chi teneva le redini di tutta la faccenda?  &ldquo;Ero io il leader del box. Come penso fosse Michael Schumacher in Ferrari. Quando resti al top a lungo, com&rsquo;&egrave; successo a me, impari ad affrontare tutti gli aspetti: non sei un atleta che la domenica viene estratto da una scatola e messo su una moto per performare e basta, ti confronti con un ricco contorno. Relazioni con amministratori delegati, rappresentanti di aziende, sponsor, politici. Ci devi navigare, in mezzo a tutta quella roba, e il modo in cui lo fai pu&ograve; essere decisivo. E poi c&rsquo;&egrave; un team che lavora per te. Devi saperlo motivare e tenere unito&rdquo;.  Come si fa?  &ldquo;Con un comportamento da professionista: disciplina, puntualit&agrave;, etica lavorativa, determinazione. Il fatto &egrave; che io odiavo perdere. Lo detestavo proprio. Se vincevo lavoravo duro, e se non ce la facevo, lavoravo ancora di pi&ugrave;. Dopo un successo non ho mai pensato di rilassarmi, n&eacute; fisicamente, n&eacute; mentalmente. Dicevo al team: &egrave; stata una grande gara, ma ecco quali aspetti possiamo migliorare&rdquo;.  Passa alla prossima pagina &nbsp; Mick Doohan e l'ossessione per la vittoria  &nbsp;Eri ossessionato?  &ldquo;Se ero impegnato nel mio mestiere, s&igrave;. Ma riuscivo a dividere il lavoro dalla vita privata. Penso ai pugili: quando sono sul ring, si trasformano&rdquo;. Esiste un segreto, per vincere?  &ldquo;A volte la differenza tra finire primo o secondo &egrave; piccolissima e dipende da quanto lavori sodo. Se mi chiedi chi era il pi&ugrave; forte fra me, Kevin, Wayne o altri, non penso fossimo cos&igrave; diversi nelle capacit&agrave; di guida. A essere decisivo era l&rsquo;aspetto mentale, relativamente sia a una gara che a un&rsquo;intera stagione. Correre &egrave; tutta questione di testa. Perch&eacute; devi gestire una marea di cose: la pressione, la posizione in cui ti trovi, la concentrazione e poi le distrazioni. Vince chi gioca meglio le sue carte. Magari sei in testa con cinque secondi di vantaggio e cadi. Se succede, &egrave; perch&eacute; hai avuto un calo di concentrazione&rdquo;.  Hai citato tante virt&ugrave;: ce le avevi dentro o le hai dovute acquisire?  &ldquo;Ci ho lavorato, non &egrave; successo in uno schiocco di dita. &Egrave; molto raro imparare qualcosa senza commettere errori. Da pilota, cerchi di ridurli al minimo e prepararti al massimo per prevenirli, ma sai che prima o poi qualcosa succeder&agrave;. Purtroppo, a differenza di altri sport, nelle moto il conto pu&ograve; essere salato. Perch&eacute; ci si fa male&rdquo;. Sito Pons: "Ho fatto scoprire la 250 alla Spagna" | Storie Sprint       

L'australiano: "Motivare il proprio gruppo di lavoro &egrave; un&rsquo;arte: quando dominavo, chiedevo alla Honda sempre qualcosa in pi&ugrave;. Come Schumi in Ferrari"

Mick Doohan: "Ero esigente con tutti. Odiavo perdere" | Storie Sprint

        Difficile se non impossibile scegliere solo 10 moto in oltre 100 anni di competizioni a due ruote, ci abbiamo provato scegliendo 10 moto da corsa che vanno dagli anni '80 ai giorni d&rsquo;oggi. Ci sarebbero moltissime moto meritevoli di stare in questa lista come la Honda 166, la BMW R75/5, la Moto Guzzi V8 o la Norton Manx ma sono perse nel passato ed &egrave; ormai raro anche per gli appassionati poterle vedere. Ecco dunque la nostra scelta, in ordine rigorosamente alfabetico: Aprilia RS 250 V Partiamo con una moto della quale abbiamo gi&agrave; dedicato un articolo completo sulla sua storia, la &ldquo;duemezzo&rdquo; di Noale ha corso dal 1993 al 2009 anno in cui la 250 ha corso la sua ultima stagione nel motomondiale. Bicilindrica da 249,6cc rigorosamente 2 tempi, 105cv nella sua ultima versione per poco meno di 100kg di peso ha letteralmente dominato la classe di mezzo vincendo 150GP su 290 a cui ha preso parte. Vincere con la moto di Noale &egrave; stato il trampolino di lancio per moltissime delle MotoGP Legend degli ultimi 20 anni: Max Biaggi, Loris Capirossi, Valentino Rossi e ancora Jorge Lorenzo e Marco Simoncelli che l&rsquo;ha portata alla vittoria con il marchio Gilera.  Aprilia RS Cube Restiamo in Veneto con la prima MotoGP della casa di Noale, la RS Cube fu un progetto forse troppo avanzato per le tecnologie dell&rsquo;epoca. Con l&rsquo;arrivo del 4t nel motomondiale e l&rsquo;introduzione della MotoGP, Aprilia decise, come qualche anno prima con la RS400 di andare controtendenza rispetto a quanto fatto dalle giapponesi. Se Honda e Yamaha scelsero rispettivamente un V5 e un 4 in linea, a Noale pensarono che un tre cilindri di derivazione Cosworth potesse essere sufficiente per lottare ad armi pari coi giapponesi. La moto nel 2002 era effettivamente la pi&ugrave; potente in pista ed era accreditata di 240cv con una velocit&agrave; massima che sfiorava i 330 km/h. Purtroppo la potenza &egrave; nulla senza il controllo e non bastarono soluzioni come il primo ride by wire o la frizione in carbonio a rendere le moto di Noale competitive in MotoGP.  Aprilia RSV4 Passiamo alle derivate di serie, anche qui Aprilia dice la sua con la RSV4, arrivata nel 2009 in listino e portata in gara da Max Biaggi e Shin'ya Nakano&nbsp;con la V4 di Noale il romano &egrave; riuscito a centrare un successo a Brno nella stagione di debutto della creatura di Gigi Dall&rsquo;Igna. Negli anni successivi il binomio tra la moto veneta e il pilota romano divenne quasi imbattibile permettendo a Biaggi di conquistare due titoli mondiali SBK. Iconica la stagione 2010 dove con una RSV4 sponsorizzata Alitalia, il corsaro conquist&ograve; il suo primo titolo nelle derivate di serie con 10 successi di manche e 4 podi. La SBK di Noale conquister&agrave; anche il titolo con Sylvain Guintoli nel 2014, facendo salire a 54 i titoli iridati di Aprilia.  Passa alla prossima pagina!&nbsp; &nbsp; Cagiva C594 Una delle moto italiane pi&ugrave; famose degli anni &rsquo;90, la Cagiva C594 &egrave; stata l&rsquo;ultima 500 della casa varesina. Telaio misto carbonio-alluminio (di cui abbiamo gi&agrave; parlato qui), motore 4 cilindri a V di 80&deg; 498,3cc ovviamente a 2 tempi alimentati da carburatori Mikuni TV da 39 a valvola piatta con power jet elettronico. La moto lombarda raggiungeva 185cv a 12.500 giri. Con la C594, Cagiva arriv&ograve; a lottare quasi ad armi pari con i colossi giapponesi tanto che John Kocinski termin&ograve; in terza posizione il campionato 1994. Le sue linee quasi senza tempo portarono la casa di Varese a riprenderle quando nel 2008 present&ograve; l&rsquo;ultima evoluzione della Cagiva Mito 125 SP525.  Ducati Desmosedici GP7 La prima moto iridata in MotoGP della casa di Borgo Panigale che con Casey Stoner nel 2007 conquist&ograve; 10 successi e 4 podi su 18 gare, con Loris Capirossi che festeggi&ograve; a Motegi l&rsquo;unico successo stagionale nel giorno in cui Casey Stoner vinse il titolo mondiale. Nel 2007 la MotoGP pass&ograve; da 990cc a 800cc e Ducati grazie alla propria distribuzione desmodromica riusc&igrave; fin da subito a mostrare una potenza ed una velocit&agrave; irraggiungibile per le case giapponesi. Motore portante V4 di 90&deg; e telaio ancora in traliccio di tubi d&rsquo;acciaio (il monoscocca in carbonio debutter&agrave; solo nel 2008) e gomme Bridgestone completarono un pacchetto che con il talento dell&rsquo;australiano in sella fu quasi imbattibile.  Ducati 916 Quando una moto, e le sue eredi, passano alla storia con il nome di &ldquo;serie perfetta&rdquo; ci sarebbe poco da aggiungere. La 916 e le successive 996 e 998, hanno fatto la storia del mondiale SBK tra il 1994 e il 2002 vincendo 6 titoli piloti in 9 anni di corse grazie a Carl Fogarty, Troy Corser e Troy Bayliss, ultimo a portare al successo la &ldquo;serie perfetta&rdquo; prima dell&rsquo;arrivo della 999 F03 che apr&igrave; un nuovo ciclo di vittorie per la casa di Borgo Panigale. Telaio ovviamente in traliccio di tubi d&rsquo;acciaio, motore bicilindrico a L con la cilindrata che &egrave; salita dai 916cc ai 998cc col passare degli anni. Sicuramente l&rsquo;essere la Ducati pi&ugrave; vincente della storia ha aiutato il successo commerciale, ma siamo certi che anche senza tutte quelle vittorie in pista le linee disegnate da Massimo Tamburini l&rsquo;avrebbero resa, ancora oggi, una delle moto pi&ugrave; belle di sempre.  Passa alla prossima pagina per le case giapponesi &nbsp; Honda RC211V 2002 La prima vera MotoGP, quando nel 2002 il motomondiale introdusse la nuova classe riservata ai prototipi da 990cc 4, HRC cre&ograve; un vero e proprio pezzo d&rsquo;arte contemporanea. Mentre tutte le altre case derivarono le loro prime MotoGP dalle 500, la casa dell&rsquo;ala dorata cre&ograve; da zero un nuovo progetto che si rivel&ograve; di fatto imbattibile. Motore V5 da 75,5&deg; in grado di erogare oltre 240cv, una ciclistica affilata con un telaio perimetrale in alluminio ed un peso contenuto a 148kg. Nella stagione di debutto vinse 14 gare su 16, ovviamente la maggior parte di queste, 11, se le aggiudic&ograve; Valentino Rossi mentre le restanti 3 se le spartirono il suo compagno di squadra nel team Repsol Toru Ukawa e Alex Barros che dopo aver iniziato la stagione con la &ldquo;vecchia&rdquo; 500 nel finale di stagione ricevette la RC211V e conquist&ograve; la vittoria a Motegi e Valencia.  Honda VFR750R RC30 Anche della VFR750R abbiamo gi&agrave; parlato ampiamente in un suo pezzo dedicato, la moto che nacque per volere di HRC per il mondiale Superbike e che si rivel&ograve; pressoch&eacute; imbattibile nei primi anni del mondiale delle derivate di serie e non solo. Con la RC30 arrivarono successi a raffica anche nelle road race e nel mondiale Endurance.  Suzuki RGV 500 Gamma Debutta nel motomondiale nel 1986 e termina la propria carriera nel 2001 al termine della vita delle 500 da GP. Nonostante una carriera cos&igrave; lunga, la moto di Hamamatsu conquist&ograve; solo due titoli mondiali, uno nel 1993 con Kevin Schwantz&nbsp;ed il secondo nel 2000 con Kenny Roberts Jr. Solo due titoli in quindici anni di carriera, eppure la RGV ancora oggi &egrave; una delle moto pi&ugrave; riconoscibili e amate dagli appassionati.  Yamaha R7 Ultima ma solo per ordine alfabetico una delle moto pi&ugrave; rare che ogni collezionista e appassionato vorrebbe in garage, la Yamaha R7. Nata alla fine del secolo scorso per disputare il mondiale SBK fu prodotta in soli 500 esemplari, il minimo necessario per l&rsquo;omologazione FIM. 4 cilindri in linea da 749cc, 5 valvole per cilindro ed una potenza che con il kit race raggiungeva i 135cv. La moto era figlia dell&rsquo;esperienza in 500 di Yamaha tanto che il telaio la ciclistica, soprattutto il telaio deltabox in alluminio era figlio delle geometrie della YZR500.        

Una sigla, un dettaglio, spesso per passare alla storia basta veramente poco o perlomeno cos&igrave; &egrave; per questi dieci modelli

Le 10 moto più iconiche di tutti i tempi

        Chiuso anzitempo il Gran Premio d&rsquo;Australia, Honda si prepara alla gara in Thailandia con una situazione veramente tragica sia nel campionato costruttori (ultima posizione dietro a Yamaha, la dice lunga sulla crisi tecnica) ed in quello team (Repsol &egrave; ultimo a 25 punti dal team satellite LCR), con due piloti separati in casa (Marquez e Rins) ed uno praticamente la brutta copia di s&eacute; stesso (Mir). In tutto questo, HRC non ha ancora definito chi occuper&agrave; la sella della RCV213 ufficiale al fianco di Joan Mir nel 2024. Attualmente la &ldquo;corsa&rdquo; a quel sellino &egrave; tra Oliveira e Di Giannantonio, con il pilota romano galvanizzato dal podio australiano e con le sue quotazioni in ascesa visto lo status di &ldquo;free agent&rdquo;. Similitudini con il 2004? Forse&hellip;  2023 come 2003-2004? Ni, nel senso che forse le uniche due similitudini sono quelle legate ai due piloti di punta, Marquez oggi e Rossi allora. Entrambi hanno corso da separati in casa (Rossi da met&agrave; 2003, Marc &egrave; da tutta la stagione che sta giocando al tira e molla con Honda fino all&rsquo;annuncio dello scorso 4 ottobre) ed entrambi difficili da rimpiazzare in poco tempo (Repsol ripieg&ograve; su Barros per il 2004 mentre ad oggi non si hanno notizie del sostituto del catalano).&nbsp; La situazione tecnica &egrave; diametralmente opposta a quel 2004: la RC211V era la moto pi&ugrave; competitiva della griglia, arrivata a giocarsi il titolo fino all&rsquo;ultima gara con Gibernau; la RC213V del 2023 &egrave;, insieme alla Yamaha (seppur qualche segnale si &egrave; visto nelle ultime gare), la moto peggiore della griglia e con evidenti problemi nel progetto, iniziato lo scorso anno. La RCV213, poi, &egrave; la trita-piloti per eccellenza: 3 dei suoi 4 piloti che la guidano attualmente si sono infortunati in momenti diversi del campionato, portando gli stessi piloti a saltare diverse gare, situazione deleteria per una moto che necessita di un completo ripensamento del progetto. Marquez ci prova sempre, Mir desaparecido  Per quanto stia agendo da separato in casa (esattamente come Rossi dall&rsquo;estate del 2003), Marc &egrave; l&rsquo;unico che prova a fare qualcosa con questa Honda che necessita di una profonda rivisitazione per quanto riguarda il 2024.&nbsp; In Australia, nonostante le sue classiche cadute, &egrave; riuscito a piazzare la zampata (seppur in scia a Bagnaia) portando la moto al Q2 e mettendola in seconda fila al fianco del suo possibile sostituto, segno dell&rsquo;impegno che lo spagnolo ci sta mettendo anche provando delle tattiche fantasiose (gomma morbida al posteriore) non avendo nulla da perdere a livello di classifica. La strategia, &egrave; vero, non ha pagato visto che Marc ha fatto il gambero chiudendo al quindicesimo posto alle spalle di un altro scontento di lusso, Quartararo. Ma almeno qualcosa di diverso ha fatto, e forse &egrave; stato anche obbligato alla scelta della soft, le altre mescole lavorano diversamente sulla Honda e creano ulteriori problemi. Dall&rsquo;altra parte del box, invece, c&rsquo;&egrave; un Mir che sembra la brutta copia di quello ammirato sin dal suo debutto in MotoGP nel 2019. Lo spagnolo ha raccolto appena 20 punti fino alla gara in Australia, con il quinto posto in India come miglior risultato in gara.&nbsp; La situazione di Mir sembra quella di Jorge Lorenzo del 2019: entrambi appena arrivati in Honda da un&rsquo;altra realt&agrave; (Suzuki per Mir, Ducati per Jorge), zero feeling con la moto, poche gare a punti (appena 3 quelle di Joan, 9 quelle del 5 volte campione del mondo) ed un futuro nebuloso all&rsquo;orizzonte. Joan vuole riprovarci nel 2024 mentre Jorge a fine 2019 si &egrave; ritirato, lasciando spazio ad Alex Marquez per il 2020.&nbsp; Mir nel 2024 avr&agrave; i gradi di &ldquo;capitano&rdquo; del team Repsol e sar&agrave; l&rsquo;incaricato dello sviluppo della nuova moto che arriver&agrave; tra le mani del maiorchino e del suo prossimo compagno di squadra. Moto che, giocoforza, dovr&agrave; essere profondamente diversa dal primo prototipo portato ai test di Misano e che non ha dato le risposte che Joan cercava.&nbsp; Rins gioca al risparmio  Da un ex Suzuki ad un altro. Alex Rins, prima di infortunarsi seriamente alla gamba destra al Mugello, &egrave; risultato l&rsquo;unico pilota Honda a vincere una gara (la Main Race del Texas) dopo aver fatto secondo nella Sprint dello stesso weekend. I piloti che si sono alternati a sostituirlo non hanno fatto tanto meglio dello spagnolo: Bradl ha messo insieme 6 punti, Lecuona zero e Takumi Takahashi non si &egrave; nemmeno qualificato per le due gare di Misano. Questi numeri danno l&rsquo;idea di quanto Rins sia stato fondamentale per il team LCR ed Honda in generale.&nbsp; Anche lo spagnolo, come il suo connazionale Marquez, sta correndo da separato in casa, avendo da tempo gi&agrave; siglato l&rsquo;accordo per andare in Yamaha ufficiale al fianco di Fabio Quartararo. Le sue ultime gare, per&ograve;, sono un giallo: se &egrave; vero che non ha ancora ben assorbito l&rsquo;infortunio alla gamba del Mugello, &egrave; anche vero che sta correndo &ldquo;al risparmio&rdquo;, centellinando le sue presenze in pista per evitare il pi&ugrave; possibile ulteriori infortuni per presentarsi poi al meglio al primo incontro con la Yamaha M1 in quel di Valencia dopo la gara.&nbsp; Quale futuro attende Honda?  Ritorniamo sempre l&igrave;, al punto di partenza, la similitudine con il 2004, anno nel quale HRC ha sostituito Rossi con Barros. In un certo senso la prossima stagione potrebbe essere simile alla 2004, con un pilota di basso profilo seppur bravo come Di Giannantonio (&ldquo;parametro zero&rdquo; per dirla in termini calcistici o &ldquo;free agent&rdquo; come in NBA) accanto al confermato Mir.&nbsp; Ancora non ci sono indicazioni sulla seconda RCV213 ufficiale, tanto &egrave; vero che Repsol ha provato a portare Zarco accanto a Mir ma il francese ha declinato preferendo onorare il contratto firmato con il team LCR. Non rimane altro che aspettare la Thailandia o la Malesia per capire quali saranno le strategie Honda 2024 e quale sar&agrave; il pilota accanto a Mir nel team ufficiale.       

Facciamo il punto su quello che succede attorno al team HRC in vista sia delle prossime gare che della stagione 2024

GP Australia: salvate l’Honda dispersa!

        Ogni amore, anche il pi&ugrave; grande, &egrave; destinato a finire. L&rsquo;annuncio della separazione tra Marc Marquez e la Honda, arrivata dopo undici stagioni insieme, &egrave; l&rsquo;ennesima conferma di questa teoria. Supermotocross, dove il Giappone vince | Quella (S)Volta Che Marquez-Honda: la statistica  D&rsquo;altro canto pure Dani Pedrosa, che con l&rsquo;HRC aveva corso in MotoGP per tredici annate di fila, &egrave; tornato in gara nel 2021 con la KTM che l&rsquo;aveva ingaggiato come collaudatore. L&rsquo;aver appeso il casco al chiodo per un biennio ci induce per&ograve; a considerare il fantino di Sabadell un caso a parte rispetto a quanti, dopo tantissimi anni di fedelt&agrave; a una Casa, sono passati direttamente a una rivale. In questa casistica Marquez resta unico perch&eacute; nessun altro ha messo assieme almeno dieci campionati consecutivi in classe regina con un marchio prima di virare altrove. Dopo nove avevano salutato la compagnia Giacomo Agostini e Jorge Lorenzo. Ago era gi&agrave; stato avvicinato dai vertici Yamaha nel 1971: &ldquo;Ma all&rsquo;epoca i motori due tempi erano ancora molto delicati e grippavano spesso&rdquo;. Tornarono alla carica due anni dopo: &ldquo;Avevano fatto passi da gigante e cos&igrave; decisi di cambiare. Avevo capito che con i quattro tempi era rimasto poco da fare&rdquo; E cos&igrave; in vista del 1974 lasci&ograve; la MV Agusta con cui correva dal 1965. Diverso il ragionamento compiuto da Lorenzo perch&eacute; ai tempi la Ducati non era ancora la macchina da guerra dell&rsquo;ultimo biennio. Nel 2016, ultimo anno del maiorchino in sella alla M1, la Yamaha vinse sei GP e la Honda nove, mentre la Ducati si aggiudic&ograve; un paio di gare. A indurre il numero 99 a cambiare aria furono la volont&agrave; di affrontare una nuova sfida, il corteggiamento di Gigi Dall&rsquo;Igna (con cui aveva vinto in 250), l&rsquo;insofferenza verso il clan di Valentino Rossi dopo il controverso 2015 (e la Yamaha sped&igrave; un messaggio chiaro a Jorge, rinnovando con Vale) e il ricco biennale offerto da Borgo Panigale, per complessivi 25 milioni di Euro. Come compagno di squadra trov&ograve; Andrea Dovizioso, che avrebbe continuato a correre per la Ducati fino a fine 2020 quando il suo contratto non &egrave; stato rinnovato. Il matrimonio di Dovi &egrave; giunto al capolinea dopo otto stagioni e il forlivese sembrava destinato a un anno sabbatico. Invece &egrave; stato chiamato come test rider dall&rsquo;Aprilia, salvo poi salire in corsa sulla Yamaha-Petronas per disputare gli ultimi cinque GP. Altri addii eccellenti  Otto furono anche le stagioni di fila di Alex Barros in sella alle Honda anche se il brasiliano girovag&ograve; a lungo: nel 1995 corse con Kanemoto, l&rsquo;anno dopo con Pileri, quindi fece due stagioni con Gresini e altre quattro con Pons Racing. Il suo destino cambi&ograve; nel 2002, quando per gli ultimi quattro GP gli fu concessa la RC211V in luogo della NSR 500 che aveva guidato fino ad allora. Barros fece faville, con due successi e quattro podi, poi salut&ograve;: &ldquo;Sono grato a Sito, &egrave; stato come un padre, mi ha aiutato a maturare&rdquo;. And&ograve; alla Yamaha-Tech 3, ma torn&ograve; in Honda dopo un solo (difficile) anno per rilevare la moto ufficiale di Rossi. Kenny Roberts Jr invece interruppe un settennio in Suzuki per correre nel 2006 con la KR211V, un ibrido con motore Honda e telaio prodotto autonomamente. And&ograve; alla ricerca della novit&agrave; pure Colin Edwards nel 2012, direzione Forward Racing, dopo sette anni in sella alle Yamaha. Diversa, infine, la scelta di Rossi, che dopo sette campionati (e quattro titoli) con la Casa dei tre diapason nel 2011 firm&ograve; con la Ducati. Alla vecchia amata scrisse una lettera: &ldquo;&Egrave; giunto il momento di cercare nuove sfide, il mio lavoro qui in Yamaha &egrave; finito. Purtroppo, anche le storie d&rsquo;amore pi&ugrave; belle finiscono, ma lasciano un sacco di meravigliosi ricordi&rdquo;. MotoGP, Sete Gibernau e la pole al venerd&igrave; | Quella (S)Volta Che       

Tra i tanti record firmati dal binomio Marc-HRC, ora c&rsquo;&egrave; anche quello della separazione dopo il binomio pi&ugrave; duraturo

Marquez-Honda, quando l'amore finisce | Quella (S)Volta Che

        Matteo Flamigni era incredulo, e pure preoccupato. Valentino Rossi, lasciati i semimanubri della Yamaha M1 nelle mani dei meccanici del nuovo team, cerc&ograve; immediatamente il fido telemetrista che, osservando il pilota sfilarsi il casco, non sapeva cosa pensare. Il warm up del GP Malesia 2004 aveva fatto registrare il miglior crono siglato dal numero 46, leader della classifica e con le mani sul sesto titolo iridato, il primo vestito di blu Yamaha. Alzata al visiera, il sussurrio di parole indimenticabili tra il professionista di dati, grafici ed elettronica e il diretto assistito: &ldquo;Domandai a Vale se fosse tutto a posto&rdquo; il ricordo del cinquantatreenne oggi capotecnico di Marco Bezzecchi nella formazione Mooney-VR46 equipaggiata Ducati. &ldquo;Sembrava piuttosto soddisfatto, poi... mi spiazz&ograve;, palesandosi scuro in volto. Disse che non riusciva a impennare, proprio non ce la faceva. Dovevamo ancora disputare la gara, e lui gi&agrave; pensava a come festeggiare la vittoria! Vittoria eventuale e sperata, perch&eacute; le variabili del caso si sprecavano. Ma lui si sentiva talmente certo da far diventare sicuro puro il sottoscritto&rdquo;.  Classifica piloti AGGIORNATA Matteo Flamigni: gli inizi, Valentino Rossi  Fu una conquista storica, unica. &ldquo;S&igrave;, e pure una conferma, valorizzata dal primo posto domenicale di Sepang, che ci lanci&ograve; spediti e convinti a Phillip Island, dove sancimmo l&rsquo;impresa. Quell&rsquo;aneddoto non &egrave; preso a caso ma, se me ne chiedete altri, non saprei rispondervi. Ne ho troppi, davvero troppi&rdquo;. Chiss&agrave; quante emozioni collezionate nella tua carriera. &ldquo;Infinite. Cominciai in Superbike a met&agrave; anni &rsquo;90, occupandomi di acquisizione dati e analisi del caso. A braccetto con la passione e la Laurea in Ingegneria Elettronica conseguita a Bologna, il gioco si tramut&ograve; in lavoro. Passai dalle derivate di serie guidate da Gianmaria Liverani e Pierfrancesco Chili alle prototipali 500 due tempi, seguendo le Yamaha YZR di Luca Cadalora e Troy Corser. Era il 1997, nel 1998 fui al fianco di Alex Barros nel Team Honda Gresini, nel 1999 mi occupai della NSR 250 di Loris Capirossi sempre nella struttura di Fausto, nel 2001 passai alla Yamaha ufficiale condotta da Max Biaggi, nel 2003 ci fu Marco Melandri, poi arriv&ograve; Rossi. Con Valentino cambi&ograve; ogni cosa: sistema, atmosfera, metodo. E i risultati&rdquo;. Quel 2004, nel passaggio da Honda a Yamaha, rimarr&agrave; unico. &ldquo;Certo, Vale riport&ograve; in auge la M1, precedentemente costretta a centro gruppo o nelle retrovie. Il solo podio calcato da Barros l&rsquo;anno prima spiega bene la situazione, mentre Rossi centr&ograve; subito il target prefissato, quel titolo definito da tutti impossibile, un azzardo soltanto a pensarlo&rdquo;. Studiando tracciati e algoritmi di Valentino, cosa hai notato? &ldquo;Una grande ripetitivit&agrave; e un&rsquo;impressionante costanza di rendimento in gara, nel martellare cronometro e avversari. Poi la capacit&agrave; di far scorrere rapida la Yamaha in curva, a seguito di una micidiale staccata e conseguente piega lestissima e precisa. E posso dire che&hellip;&rdquo;. Cosa?  &ldquo;Questo &egrave; incredibile pure per me. Dopo aver comunicato il ritiro, alla conclusione dell&rsquo;ultimo GP, a Valencia, nella cena serale mi prese da parte, fornendomi un pensiero: &lsquo;Sai Matte, per me la moto volterebbe meglio se facessi cos&igrave;&hellip;&rsquo;. Realizzai davvero quanto Valentino fosse avanti anni luce. E lo era&rdquo;. Quando ha smesso Valentino, ha smesso anche una parte di te. &ldquo;Confermo pienamente, infatti ho scelto di cambiare mansione. Mi sono sentito il telemetrista di Rossi, con il quale ha condiviso trionfi e tonfi, successi e momenti duri, epoche diverse in Yamaha e annate in Ducati. Sembra ieri che iniziavamo, invece ho lavorato con Rossi quasi vent&rsquo;anni. Volevo mettermi in gioco diversamente, eccomi qui&rdquo;.  Bagnaia-Ducati, il legame rende invincibili La nuova vita di Matteo Flamigni con Marco Bezzecchi  Qui c&rsquo;&egrave; Marco Bezzecchi con la sua Desmosedici: tu sei il capotecnico. &ldquo;Il mio operato &egrave; pi&ugrave; complesso: mercoled&igrave; e gioved&igrave; si adattano le moto al tracciato in oggetto, si fa un programma di gestione gomme, considerando le durate per la Sprint e per il GP, si ascoltano i commenti del pilota, modificando in seguito quanto richiesto. La moto gli deve essere cucita addosso. Servono esperienza, improvvisazione e al tempo stesso studio. Oltretutto, &egrave; opportuno controllare il meteo. Della GP22 seguo diversi aspetti, nell&rsquo;interezza del veicolo, a 360 gradi: gomme, freni, assetto, telaio, sospensioni e tutto quanto. Controllo anche l&rsquo;elettronica, gi&agrave; che ci sono (ride)&rdquo;. Noti similitudini tra il Bez e Vale? &ldquo;Marco &egrave; efficace nei settori veloci, stessa caratteristica di Rossi. Tuttavia, il comune denominatore tra i due, ma vale anche per i membri della Academy, resta la capacit&agrave; di leggere e interpretare i dati. Bezzecchi si sofferma con me per parecchio tempo, ponendo attenzione ai grafici, peraltro condivisi dalla Ducati: il confronto con le altre Desmosedici &egrave; possibile, e Marco &egrave; sempre metodico e puntiglioso, come lo era Vale&rdquo;. Quanto &egrave; cambiata la MotoGP? &ldquo;Enormemente. Oggi abbiamo una sezione aerodinamica influente, che incide sulle strategie antiimpennamento. Il traction control interviene diversamente, la rapportatura del cambio esige settaggi particolari. Molto &egrave; cambiato, ma ho notato una cosa piacevole&rdquo;. Cosa? &ldquo;Il pilota fa ancora la differenza. Le due vittorie di Bezzecchi in Argentina e Francia lo testimoniano: si &egrave; messo alle spalle ben sette Ducati, cio&egrave; MotoGP della stessa marca. Alla fine vince sempre uno, Marco lo ha fatto. Con lui ho vinto io. E non pensavo&rdquo;. Passa alla prossima pagina dell'intervista &nbsp; Matteo Flamigni: nuovo ruolo, stesse soddisfazioni  Quali emozioni hai provato? &ldquo;Avendo speso lustri con Vale, mica immaginavo di tornare a divertirmi. Affiancare Bezzecchi &egrave; una sorpresa continua, &egrave; una storia nata da poco, per&ograve; &egrave; gi&agrave; promettente e fantastica. Grazie a Marco sono tornato a vincere, realizzando un sogno riposto da qualche parte&rdquo;. Qui scatta l&rsquo;aneddoto legato a Bez. &ldquo;Datemi tempo (ride). Posso raccontarvi di un ragazzo splendido, con una bella famiglia alle spalle. In un weekend dell&rsquo;anno, ha cominciato a ringraziare tutti: il babbo, la mamma, i tecnici, il team manager, il cuoco, tutti&rdquo;. Ha ringraziato pure te? &ldquo;S&igrave;, infatti ha trascorso ore con me nel box. L&rsquo;atmosfera era magica, e mi ha fatto capire quanto la sfida di passare da elettronico a capotecnico potesse essere piena di soddisfazioni. Ma anche di traguardi&rdquo;. Quali? &ldquo;Mi sto attrezzando, cos&igrave; vi sveler&ograve; ulteriori aneddoti&rdquo;.  Prossimi appuntamenti Motomondiale       

L'intervista all'uomo chiave dei successi del Bez: "Dopo il ritiro di Valentino, con Marco &egrave; iniziata un&rsquo;altra vita sportiva"

MotoGP, Flamigni: "Bezzecchi è metodico e puntiglioso come Rossi"

        Il segreto che si &egrave; tenuto dentro per una notte intera, e anche di pi&ugrave;, non l&rsquo;ha confidato nemmeno a sua moglie. Ma a un certo punto, Wayne Rainey &egrave; costretto a parlare. MotoGP Mugello: gli orari tv del GP Italia Wayne Rainey a cuore aperto  &Egrave; l&rsquo;1 agosto, il giorno del Gran Premio di Donington, decima tappa su 14 del Mondiale 1993. Lo statunitense, campione del Mondo in carica della classe regina all&rsquo;inseguimento del quarto iride consecutivo, ha un problema alla vista. Non ci vede bene per niente. Colpa del botto fatto il giorno prima, durante le prove del sabato, quando la sua Yamaha YZR 500 lo ha &ldquo;consegnato&rdquo; a terra. Una schiena dolorante e qualche unghia saltata via, fra le conseguenze. Ma soprattutto un gran colpo alla testa, il morso dell&rsquo;asfalto ben visibile sul casco AGV. L&rsquo;americano ha pensato bene di non dire nulla a nessuno. Una commozione cerebrale: che vuoi che sia? La sera prima si &egrave; coricato convinto di svegliarsi, l&rsquo;indomani, a posto. E invece, la vista fa ancora i capricci. Nel warm up &egrave; un paio di secondi pi&ugrave; lento dei migliori. E cos&igrave; &egrave; costretto a confessare il segreto al suo capotecnico, che non ci pensa troppo prima di dirgli che in quelle condizioni non pu&ograve; guidare. Ma il trentaduenne californiano non &egrave; uno che molla facilmente. Ci sono una battaglia da combattere e una guerra da vincere, per lui. Kevin Schwantz, in classifica, &egrave; davanti ma a tiro, pochi i punti a separarli: 192 per il texano della Suzuki, 169 per Rainey. Dal 1988, quando entrambi avevano iniziato a correre a tempo pieno nel Mondiale 500, erano sempre stati ai ferri corti. Biondi e affilati, americani e dotati: dalla California il numero 1 della categoria, dal Texas il pilota della Suzuki. Disposti a cedere un millimetro all&rsquo;avversario? Mai, nemmeno nelle prove libere, figuriamoci in gara. &Egrave; con questa motivazione addosso che Rainey si infila nel motorhome dopo il warm up e ragiona sul da farsi. Un&rsquo;ora dopo torna nel box del team ufficiale Yamaha, tappezzato di loghi Marlboro, con un piano ben preciso. Cosa decidesti di fare in quel momento? &ldquo;Qualcosa di decisamente folle, se ci penso adesso. Chiesi al mio capotecnico di sistemare i rapporti del cambio per consentirmi di partire in seconda marcia, anzich&eacute; in prima. Il fatto &egrave; che con la vista non riuscivo a misurare la profondit&agrave;, quindi a capire quanto distanti da me fossero gli altri piloti. Invece con le traiettorie ero a posto. Partendo davanti non avrei dovuto superare nessuno e avrei risolto il problema. Scattando in seconda pensavo di essere rapido perch&eacute; avrei dovuto infilare una marcia in meno accelerando, e toglierne una in meno frenando per la prima curva. Ma non ci avevo mai provato: era un salto nel buio&rdquo;. Un passo indietro: i medici non ti fermarono. &ldquo;Non c&rsquo;erano i protocolli di adesso. Non manifestai il problema e nessuno se ne accorse&rdquo;. Pronti via, cosa accadde? &ldquo;Scattai dalla seconda fila con un grande spunto. Alla prima curva avevo un solo avversario davanti (Alex Barros, nde), lui and&ograve; largo e io passai in testa. A quel punto era quasi fatta, perch&eacute; su gomme fredde ero quasi imbattibile. Poi, dietro si verific&ograve; un incidente che coinvolse anche Mick Doohan e Kevin (l&rsquo;australiano della Honda travolse entrambe le Suzuki di Schwantz e Barros alla staccata della variante, nde). Quindi in ottica iridata tutto volgeva a mio vantaggio. Il mio compagno di squadra, Luca Cadalora, mi segu&igrave; come un&rsquo;ombra per tutta la gara. Io pensavo: forza, passami! Lo fece sul finire del GP e vinse, io fui secondo e contento&rdquo;. And&ograve; bene, possiamo dire. &ldquo;Quella fu la prima volta, nella mia carriera, in cui gareggiai sapendo di non essere mentalmente a posto e non era una cosa sicura da fare. Fu un po&rsquo; da pazzi, lo ammetto. Francamente: non avrei dovuto correre, quel giorno&rdquo;. La vivesti come una cosa straordinaria, oppure normale? &ldquo;Negli anni avevo accumulato esperienza, avevo gareggiato al top e combattuto un sacco di battaglie, vincendo parecchie gare. Quell&rsquo;episodio fu soltanto qualcosa in pi&ugrave; nell&rsquo;ambito di ci&ograve; che occorreva fare per vincere un titolo mondiale: ho un problema e lo affronto, questo fu il ragionamento. Tutto qui&rdquo;.  La Storia Sprint di Wayne Rainey  Quel giorno a Donington chiudesti alle spalle del tuo compagno di squadra, una rarit&agrave; per te. &ldquo;Ai miei tempi, nei test ogni team girava per conto suo, non si svolgevano sessioni con tutti i piloti insieme, come si fa oggi. Si provava parecchio materiale e dovevo essere certo di spingere al massimo. L&rsquo;altro portacolori della squadra, quindi, era il mio unico metro di paragone. La mia strategia era quella di considerarlo a tutti gli effetti un rivale. In gara, poi, se finivo ottavo dovevo essere certo che lui, chiunque fosse, si classificasse nono. Con il tempo, per&ograve;, il mio approccio &egrave; mutato: gli avversari sono diventati tutti uguali&rdquo;. Stare davanti per te era una gioia o un&rsquo;ossessione? &ldquo;All&rsquo;inizio della mia carriera volevo sempre essere primo. Non soltanto in gara, ma in ogni turno di prove. Era un modo per far capire agli altri che sarei stato tosto, da battere. Sapevo bene come ci si sentiva a essere dietro: se Eddie Lawson era un decimo pi&ugrave; veloce di me, non la prendevo affatto bene e iniziavo a scervellarmi riflettendo su come recuperare. Pensando a questo, volevo mettere gli altri in quella particolare condizione. Pi&ugrave; avanti ho capito che quello che conta &egrave; il risultato della domenica. Lavoravo in quella direzione, dando meno importanza alle prove e alle qualifiche&rdquo;. Com&rsquo;era il processo di messa a punto? &ldquo;Posso dire tranquillamente che ci &egrave; capitato di essere nella m&hellip;. fino al collo il sabato sera, stravolgere la moto e provare qualcosa di nuovo per il warm up per poi doverla di nuovo smontare tutta perch&eacute; le cose non funzionavano come avrebbero dovuto. Poi ci presentavamo in gara con un ulteriore setting, mai provato prima, e finivamo magari per vincere! Non succedeva spesso, ma un paio di volte l&rsquo;anno s&igrave;. Ai giapponesi della Yamaha non piaceva affatto vedere il motore aperto e le sospensioni a pezzi a poche ore dal via. Ma avevo un&rsquo;ottima squadra: avevano tanta fiducia in me. E io ne avevo in loro&rdquo;. Sei mai stato felice per un piazzamento pi&ugrave; che per una vittoria? &ldquo;&Egrave; tutto relativo. Vinsi la mia ultima gara in Repubblica Ceca, nel 1993 a Brno, la corsa che segu&igrave; quella di Donington: trionfai con facilit&agrave;, dando il 90% e non il 100%. Non mi fece sentire del tutto appagato: a me piaceva dover lottare. Sempre quell&rsquo;anno, in Austria finii terzo con un grandissimo ultimo giro: avevo parecchi metri di ritardo da Barros. Lui commise qualche errore e io riuscii a raggiungerlo, infilarlo e salire sul podio. Ero raggiante&rdquo;. Correvate a Salisburgo: in uscita dalla prima &ldquo;esse&rdquo; a volte prendevi il cordolo e saltavi, con la YZR imbizzarrita: da vedere era parecchio spettacolare. &ldquo;Ma non era la cosa pi&ugrave; intelligente da fare: quando salti con una moto da GP rischi che la catena si spezzi oppure puoi provocare altri danni. Un paio di volte persi anche l&rsquo;appoggio del piede dalla pedana. Per&ograve; era divertente&rdquo;.  Passa alla prossima pagina &nbsp; Wayne Rainey: l'incidente di Misano, le 500  A Misano, quell&rsquo;anno, hai subito l&rsquo;incidente che ha messo fine alla tua carriera: hai anche ricordi belli di quel tracciato? &ldquo;I curvoni a sinistra in accelerazione fra la curva del Carro e il Tramonto, certo, quando Misano si percorreva in senso antiorario: erano i pi&ugrave; belli dell&rsquo;intero calendario. Tre, ma si affrontavano come un&rsquo;unica grande svolta, infilando le marce senza tirarle al massimo e arrivando all&rsquo;ultima curva in quinta, a quel punto con il regime dei giri oltre il punto di massima coppia. Cos&igrave;, se dietro slittava, sapevi che non avrebbe riservato sorprese, come invece sarebbe accaduto con l&rsquo;arrivo di ancora pi&ugrave; potenza&rdquo;. Aprire il gas con quelle moto era come accendere una miccia? &ldquo;La parte in assoluto pi&ugrave; delicata era l&rsquo;inizio dell&rsquo;apertura, rispetto alla quale ero sempre molto concentrato: era il momento pi&ugrave; rischioso. Si lavorava parecchio anche sulla carburazione, per evitare comportamenti troppo bruschi o imprevisti nell&rsquo;erogazione. A Laguna Seca, per esempio, si usavano rapporti corti ed era difficile anche tenere la moto gi&ugrave; davanti. Tendeva a impennarsi molto. Anche gli high side erano facili. In un giro tenevamo il gas aperto del tutto per il 27% del tempo, mi pare. Con le MotoGP, e con l&rsquo;elettronica a gestire le cose, mi hanno detto che quel tempo &egrave; salito al 67%&rdquo;. La tua Yamaha: la moto migliore del lotto? &ldquo;Dal mio punto di vista no. Il fatto &egrave; che non si lavorava abbastanza sullo sviluppo, rispetto agli avversari. La conseguenza &egrave; che alla fine chi doveva fare la differenza era il pilota, cio&egrave; io. E quel peso, sulle mie spalle, si faceva sentire eccome. Nel 1992 arrivai a giocarmi il titolo all&rsquo;ultima gara senza pi&ugrave; ricambi. Un pasticcio, potenzialmente, perch&eacute; avevamo lavorato sull&rsquo;ordine degli scoppi del nostro quattro cilindri e ci&ograve; comportava maggiori sollecitazioni per l&rsquo;albero motore e il cambio. A volte qualche pezzo si rompeva e andava sostituito. Per fortuna and&ograve; bene&rdquo;. Un bel brivido. &ldquo;Da una parte, al rischio ero abituato da sempre, perch&eacute; mio padre, gi&agrave; quando ero piccolo, mi aveva portato verso scelte controcorrente. Se tutti correvano con le Yamaha 90 cm&sup3;, noi ci compravamo una Suzuki. Se era la Honda ad andare per la maggiore, noi optavamo per una Bultaco. Abbiamo sempre fatto le cose a modo nostro, distinguendoci. Ci piaceva, quel genere di sfida: vincere con ci&ograve; che gli altri avevano scartato&rdquo;. Da professionista, per&ograve;, immagino ci fossero pi&ugrave; pressioni e maggiore stress. &ldquo;Dipende da come prendi le cose. Quando la mia carriera &egrave; finita, una parte di me ha pensato: finalmente! Le corse sono state tutto per me, la mia vita, ci&ograve; che ero. Se non avessi avuto l&rsquo;incidente di Misano, nel 1993, penso che avrei continuato per almeno un paio d&rsquo;anni. Ma il fatto &egrave; che volevo sempre vincere: secondo o terzo non mi interessava. E se non riuscivo a vincere, non mi davo pace. Probabilmente &egrave; stato un errore, perch&eacute; occorre accettare il fatto di non poter finire sempre primi. Per&ograve;, quando sei nel bel mezzo di una bagarre, nella tua bolla mentale, &egrave; difficile fare questi ragionamenti. A ogni modo, forse avrei dovuto essere un po&rsquo; meno radicale, per vivere meglio le corse. L&rsquo;ho capito dopo aver smesso&rdquo;. Calendario MotoGP 2023       

La leggenda del Motomondiale in esclusiva: "Le corse sono state tutto per me, la mia vita, ci&ograve; che ero"

Wayne Rainey: "Senza vittorie, non mi davo pace" | Storie Sprint

        Il numero di gara ha sempre identificato un pilota nello specifico, pensiamo al 3 di Biaggi, al 46 di Valentino Rossi, il 27 di Stoner, il 26 di Pedrosa o, tornando indietro nel tempo, il 7 di Barry Sheene con la Suzuki negli anni 70. Capita per&ograve; che in alcuni casi un pilota magari appena approdato in MotoGP &ldquo;prenda&rdquo; il numero, se non &egrave; stato ritirato, del collega.&nbsp; Vediamo quali sono stati i vari casi 155: Yari Montella &ndash; Ben Bostrom  &nbsp; Nel recente weekend del CIV a Misano, il pilota campano del team Barni in Supersport ha disputato le due gare del campionato tricolore nella Supersport indossando il numero 155 invece del suo abituale 55, numero gi&agrave; occupato da un certo Massimo Roccoli. Il team Barni ha colto l&rsquo;occasione per fare un curioso post social nel quale vengono raffigurati Montella ed una leggenda della Superbike come Ben Bostrom accomunati dal numero di gara, il 155. Va per&ograve; detto che BB scelse quel numero come &ldquo;omaggio&rdquo; al numero del servizio clienti di Infostrada, il 155 appunto.             Visualizza questo post su Instagram  Un post condiviso da Barni Racing Team - Ducati (@barniracingteam)      &nbsp; 21: Rinaldi &ndash; Bayliss  &nbsp; Questo &egrave; uno di quei numeri che &ldquo;scottano&rdquo; perch&eacute; appartenuti ad una vera e propria Leggenda del Mondiale Superbike, ovvero Troy Bayliss. Il buon Michael Rinaldi negli anni in Stock utilizzava il numero 12 (altro numero della carriera di Bayliss, ma in MotoGP) mentre in Superbike ha dovuto prendere il 21, chiedendo a Troy il permesso di usarlo, perch&eacute; il 12 era occupato da Xavi Fores. 11: Xaus &ndash; Corser  &nbsp; Restiamo in Superbike e parliamo di Ruben Xaus. Lo spagnolo, dopo una wild card nel 1998 con la Suzuki e le tre stagioni successive in Supersport, nel 2001 balza in Superbike nel team ufficiale Ducati accanto a Troy Bayliss prendendo il numero 11, numero appartenuto in passato a Troy Corser (che poi si &egrave; ripreso nel 2005 per tenerselo fino al 2007) 111: Xaus &ndash; Slight  &nbsp; Dopo l&rsquo;esperienza in MotoGP del biennio 2004-2005, lo spagnolo nel 2006 torna in SBK sempre con il suo caro 11 per poi abbandonarlo nel 2007 a favore del 111, numero appartenuto ad un altro grande del Mondiale Superbike, ovvero il neozelandese Aaron Slight. &nbsp; 27: Lecuona &ndash; Stoner   Un 27 su una Honda ufficiale fa sempre il suo effetto. Un po&rsquo; meno se a riportarlo su quel cupolino &egrave; lo spagnolo di Honda HRC in Superbike Iker Lecuona, che peraltro correva con quel numero gi&agrave; nel suo anno in Tech3 KTM prima di approdare proprio in HRC. L&rsquo;ultima volta che si &egrave; visto un &ldquo;27&rdquo; sul cupolino di Honda ufficiale &egrave; stato il 2011 con Casey Stoner. 58: Capirossi &ndash; Simoncelli  &nbsp; Questo cambio di numero &egrave; successo solo per la gara finale di Valencia del 2011, la gara dell&rsquo;omaggio a Simoncelli scomparso la settimana prima nell&rsquo;incidente al secondo giro a Sepang. Loris Capirossi ha voluto rendere omaggio al Sic indossando per quell&rsquo;unica volta (l'ultima della carriera di Capirex) il numero 58 tanto caro a Marco. 7: Checa &ndash; Sheene, Vermeulen-Sheene, Lecuona-Checa  &nbsp; L&rsquo;iconico numero 7 nella storia ha subito un po&rsquo; di cambi di mano, pensando sempre al grande Barry Sheene che ha portato quel numero sulla Suzuki 500 negli anni 70. Il primo pilota ad indossarlo &egrave; stato Carlos Checa nella sua lunga carriera tra MotoGP e Mondiale Superbike, poi &egrave; toccato all&rsquo;australiano Chris Vermeulen &ldquo;ereditarlo&rdquo; da Checa nel 2008 dopo il passaggio di quest&rsquo;ultimo in Superbike e oggi il 7 &egrave; sul cupolino della Honda CBR1000RR-R di Iker Lecuona. &nbsp; 20: Borciani &ndash; Romboni  &nbsp; Nel 1999 il grande &ldquo;Rombo&rdquo; Doriano Romboni disputa mezza stagione in Superbike in sella alla Ducati con il numero 20 sul cupolino prima di infortunarsi di nuovo alla gamba destra gi&agrave; infortunata nel 1993. L&rsquo;anno successivo, Borciani debutta in Superbike anche lui con Ducati &ldquo;ereditando&rdquo; da Doriano proprio il 20, numero che lo ha accompagnato fino alla chiusura della carriera.&nbsp; 4: Dovizioso &ndash; Barros  &nbsp; Questo numero c&rsquo;era in MotoGP fino a Misano dello scorso anno, prima che Dovizioso decidesse di ritirarsi definitivamente dalla MotoGP. Prima che il numero 4 (o 04) lo prendesse Andrea, in passato era il segno di riconoscimento del grande brasiliano Alex Barros che lo ha indossato dal 2001 al 2007, ultimo anno di carriera nel Motomondiale. 34: Dovizioso &ndash; Schwantz  &nbsp; Legato a Dovizioso per&ograve; &egrave; anche il suo primo numero di gara nelle classi minori, il 34, che apparteneva al grande Kevin Schwantz. Con il ritiro di Kevin nel 1995, il suo iconico numero non era pi&ugrave; indossabile, almeno in Top Class, mentre nelle classi minori c&rsquo;era libert&agrave; di utilizzo.       

I casi, tra CIV, Motomondiale e Superbike nei quali i numeri di gara sono appartenuti ad altri piloti pi&ugrave; famosi

Da Montella a Dovizioso: quando il numero scelto appartiene ad una leggenda

        Nel Medioevo furono eretti in Europa centinaia di castelli, per permettere ai feudatari di difendersi dagli attacchi provenienti dall&rsquo;esterno. Nel motociclismo, invece, i Castelli servono per andare all&rsquo;attacco, conquistando l&rsquo;intero globo. La storia di Lucio e Massimo Castelli   Lo dimostrano Lucio e Massimo Castelli, da Gorla Minore (Varese), artefici rispettivamente di 17 titoli mondiali piloti in pista e otto nel Motocross. Lucio compir&agrave; 90 anni il 30 giugno, ma &egrave; ancora lucidissimo e non si perde i raduni di Moto d&rsquo;Epoca, a cui presenzia con una delle sue MV Agusta: &ldquo;Lavoravo in officina da Mario Colombo, lui conosceva il Conte, Domenico Agusta, nel 1954 mi port&ograve; in azienda e venni assunto. Stavo in officina e quando, nel 1964, venne riaperto il Reparto Corse, Arturo Magni mi chiam&ograve; perch&eacute; mi occupassi della ciclistica. Essendo assunto, quando nel 1976 il Reparto Corse chiuse, restai alla MV, ho fatto da autista al conte Corrado fino alla pensione, nel 1989&rdquo;. Rispetto al padre, Massimo, che la settimana scorsa ha festeggiato 62 anni, ha avuto un percorso lavorativo pi&ugrave; tortuoso: &ldquo;Iniziai nel 1978 all&rsquo;Aspes come garzone, aiuto meccanico: imparavi lavando e smontando le moto, chiaramente senza responsabilit&agrave;. Dopo la pausa per il Militare, nel 1982 andai alla Cagiva, restando fino al 1991, quando Michele Rinaldi mi propose di aggregarmi a lui&rdquo;. Il cambio di casacca non fu accolto favorevolmente in famiglia: &ldquo;Pap&agrave; si arrabbi&ograve; molto perch&eacute; secondo lui la Cagiva, essendo una ditta, mi garantiva un lavoro sicuro come operaio, ma non mi andava di stare in catena di montaggio. Il Reparto Corse stava chiudendo, mi dissi &lsquo;un treno cos&igrave; non passa pi&ugrave;&rsquo; e andai da Rinaldi a Parma, per rimanerci dal 1992 al 1999. Passai al Team Freetime Yamaha Skittles di Reggio Emilia per cui correvano Yves Demaria e Pit Beirer. Dopo due anni aprii un&rsquo;officina e conobbi Giacomo Gariboldi che nel 2005 diede vita al suo team, un po&rsquo; per gioco&rdquo;. Da quell&rsquo;istante Massimo Castelli non ha pi&ugrave; cambiato casacca, diventando uno dei capisaldi della formazione di Arsago Seprio, fino a occupare il ruolo di responsabile tecnico: &ldquo;Il team fu messo insieme per aiutare i giovani: partimmo con il Regionale lombardo, poi l&rsquo;Italiano. Nel 2009 vincemmo l&rsquo;Europeo 250 con Christophe Charlier ma poco dopo la Yamaha ci abbandon&ograve;. Con un colpo di fortuna, o forse perch&eacute; siamo stati bravi, siamo stati chiamati in HRC ed &egrave; arrivato Tim Gajser, con cui abbiamo vinto cinque Mondiali: nel 2015 in MX2, nel 2016, 2019, 2020 e 2022 in MXGP&rdquo;. Oltre alle superfici di gara, anche i compiti dei due Castelli si discostano non poco come racconta Lucio: &ldquo;Io facevo il telaista, guardavo tutta la ciclistica, forcella, ammortizzatori, ruote, freni, filo del gas. Avevo un libretto che indicava ogni quanti chilometri erano obbligatorie le sostituzioni. I freni, anche se erano ancora quasi nuovi, dopo tre gare andavano cambiati. Le gomme ce le portavamo noi, erano soltanto di due tipi, da asciutto e da bagnato. A volte si restava svegli il sabato notte per sistemare la moto dopo una rottura. I motori di scorta erano quattro, due per cilindrata e durante l&rsquo;anno li ripristinavamo, mettendo a posto albero motore, pistoni, testa&rdquo;. Lucio e Massimo Castelli, dalla pista all'off-road   Vedendo il padre in azione in garage insieme allo zio Edoardo, anch&rsquo;egli dipendente Cagiva, l&rsquo;erede si &egrave; innamorato delle moto fin dalla tenera et&agrave;: &ldquo;Anch&rsquo;io come pap&agrave; cominciai come telaista, ma dopo, avendo la passione, ho imparato altre cose. Mi occupavo dei motori in Yamaha da Rinaldi e tutt&rsquo;ora &lsquo;faccio&rsquo; il motore di Gajser, sono responsabile del team a livello tecnico. Sopra di me ci sono Gariboldi, come team manager, e Marcus Freitas, che da anni &egrave; uomo HRC, il general manager che mantiene i contatti tra noi e il Giappone. Il lavoro &egrave; cambiato perch&eacute; in Cagiva dovevi montare le gomme, revisionare la forcella, facevi proprio tutto. Adesso invece c&rsquo;&egrave; chi ti porta il motore, la Pirelli fornisce le gomme, c&rsquo;&egrave; un tecnico giapponese per le sospensioni e un altro tecnico nipponico che si occupa soltanto dell&rsquo;elettronica. Lui fa la mappatura alla moto e noi inseriamo la schedina nella centralina. Anche per questo la gestione &egrave; pi&ugrave; rapida, non si lavora pi&ugrave; di notte come ai tempi della Cagiva&rdquo;. Persino l&rsquo;incidenza dell&rsquo;uomo appare agli antipodi, almeno a detta di Massimo: &ldquo;Ai tempi di pap&agrave;, le moto della 500 erano pi&ugrave; difficili da gestire e il pilota contava parecchio. Credo che nella Velocit&agrave; attuale il 70 percento lo faccia la moto, nell&rsquo;off-road le percentuali sono invertite. Le moto nel Cross si equivalgono pi&ugrave; o meno tutte, almeno considerando le ufficiali. Gajser pu&ograve; vincere ovunque, come era per Tony Cairoli. Il pilota &egrave; ancora molto pi&ugrave; importante della moto, anche se chiaramente, se guida un &lsquo;cancello&rsquo; non puoi pretendere che vinca&rdquo;. A differenza di Lucio, che ha conquistato sei titoli della 350 e 11 consecutivi della 500, dal 1964 al 1974 con Mike Hailwood (due), Giacomo Agostini (tredici) e Phil Read (gli ultimi due), il figlio ha trionfato in classi e con team differenti: &ldquo;I primi due Mondiali li ho vinti in 125 con la Cagiva, nel 1985 e nel 1986 con Pekka Vehkonen e Dave Strijbos. Con la Casa varesina ho fatto pure un anno nella Velocit&agrave;, nel 1990 con Randy Mamola, Ron Haslam e Alex Barros, e in inverno la Parigi-Dakar vinta da Edi Orioli. Nel 1992 in 250 ho conquistato il mondiale Cross con Donnie Schmit, al primo anno con Rinaldi, anche se non conoscevo nessuno e parlavo pochissimo l&rsquo;inglese&rdquo;. Un&rsquo;incombenza che il padre non ha mai avuto: &ldquo;Non parlavamo lingue straniere &ndash; conferma Lucio &ndash; ci pensava Magni, sia per confrontarsi con Hailwood e Read che per le trasferte&rdquo;. D&rsquo;altra parte lavorava per un&rsquo;azienda italiana, mentre Massimo ha a che fare con i giapponesi: &ldquo;Da un lato lavori bene perch&eacute; hai tutto ci&ograve; che serve, se ti dicono che domani arriveranno cinque motori stai sicuro che li avrai. Ma per far loro capire le cose serve tempo, il loro tempo di reazione &egrave; lungo&rdquo;. La possibilit&agrave; che la serie vincente continui con la terza generazione &egrave; per&ograve; esclusa, sentendo Massimo a cui pesano sempre di pi&ugrave; le lunghe attese in aeroporto: &ldquo;Ho un figlio che va in moto, ha passione e ha voluto provare a fare l&rsquo;aiuto meccanico. Alla fine ha scoperto che non &egrave; il suo mondo, troppi sacrifici, mentre i coetanei sono in giro a divertirsi: ha deciso di smettere e fa l&rsquo;operaio&rdquo;. Alla domanda su cosa serva per fare a lungo il meccanico in squadre cos&igrave; importanti, invece, i Castelli rispondono quasi all&rsquo;unisono, usando la stessa parola chiave: &ldquo;Se non hai passione&hellip; non ce la fai&rdquo;. Francesco Faraldo, l'inventore d'Oltremanica | Storie Italiane       

Due generazioni di pluricampioni del mondo dietro le quinte: Lucio ha trionfato 17 volte con MV Agusta, Massimo ha prevalso nell'off-road

Lucio e Massimo Castelli, i meccanici vincitutto | Storie Italiane

        Luca Cadalora, Luciano Pavarotti. Di Modena, entrambi. Uno veleggiava con la voce sopra orchestre di legni e ottoni, l&rsquo;altro si faceva accompagnare dal sibilo plurale di due e quattro cilindri accordati all&rsquo;unisono. La Storia Sprint di Luca Cadalora   Mondi apparentemente distanti, i loro, dalla quiete dei camerini alla frenesia dei box, dalla misura del palco agli eccessi della pista. Eppure, un punto d&rsquo;incontro c&rsquo;&egrave; stato. Il pilota emiliano si &egrave; ritrovato a intonare alcuni passi d&rsquo;opera proprio come il concittadino, anche se a modo suo e in contesti del tutto diversi. &Egrave; successo a cena, nelle tavolate con cui il Team Roberts, impegnato in 500 con la Yamaha, chiudeva le sue domeniche migliori. Era la prima met&agrave; degli anni &rsquo;90: il boss della squadra dei tre diapason, Kenny, dell&rsquo;Italia amava non soltanto il cibo e il vino, ma anche la musica. E cos&igrave;, in quel clima di festa, incoraggiava Cadalora per farsi cantare qualche verso. Fra un &ldquo;&lsquo;O Sole Mio&rdquo; e un &ldquo;Nessun Dorma&rdquo; il modenese ha sfoggiato il suo lato pi&ugrave; radioso, anche se in altre occasioni ammette di essere stato un personaggio difficile, talvolta scorbutico, persino scomodo. Iridato nella 125 nel 1986 e autore di una doppietta in 250 nel &rsquo;91 e &rsquo;92, nella classe regina ha assaporato l&rsquo;agrodolce soddisfazione di chi si cimenta nella sfida impossibile: dopo tre anni alla corte di Roberts, in sella alle YZR ufficiali marchiate Marlboro, ha mandato al diavolo l&rsquo;americano e si &egrave; presentato in griglia con una Honda privata e senza un main sponsor. Nello schieramento multicolore del 1996, fra lampi fluorescenti e azzardi grafici, la sua carena bianca e spoglia appariva come un&rsquo;involontaria e sfacciata provocazione. Nel mirino dell&rsquo;italiano c&rsquo;era il grande numero uno del periodo, Mick Doohan, inarrestabile sulla NSR 500 ufficiale. Cadalora l&rsquo;ha fatta grossa: &egrave; riuscito a vincere il primo round della stagione creando un piccolo terremoto e calamitando qualche antipatia. A 30 anni dal suo approdo definitivo in top class, e in vista delle 60 candeline che spegner&agrave; in maggio, Cadalora si guarda indietro per raccontare armonie e dissonanze di una carriera da 34 vittorie nelle tre classi, di cui otto in 500. Luca Cadalora: l'intervista  Quella stagione, il 1996: una follia? &ldquo;Ho sempre seguito il cuore, nelle mie scelte. Mi sentivo di fare questa cosa e sono andato avanti. &Egrave; stato un azzardo. Una stagione di ribellione. Mi opposi a certe scelte del team con cui correvo, gestito dal tre volte campione del Mondo Kenny Roberts&rdquo;. Era la struttura ufficiale Yamaha con cui avevi esordito nel 1993, al fianco del campione del Mondo in carica Wayne Rainey: perch&eacute; avvenne il divorzio? &ldquo;Volevo correre con le gomme Michelin, come la stragrande maggioranza della griglia. Non averle costituiva un handicap, anche se ero gi&agrave; arrivato secondo nel Mondiale e avevo vinto diverse gare. C&rsquo;era un&rsquo;impressionante altalena di performance: in alcune piste i pneumatici funzionavano, in altre no. Quei tre anni con le Dunlop mi avevano logorato. Ero stanco&rdquo;. Da ufficiale dei tre diapason a privato in sella a una Honda: come fu il passaggio? &ldquo;Il primo test a Phillip Island fu disastroso. Non mi trovai affatto bene, con la base usata da Doohan. Feci pure un gran volo: mi si piant&ograve; una pedana nella coscia, sfiorandomi l&rsquo;arteria femorale. Un bel buco, drenaggio e via dicendo. Lasciai l&rsquo;Australia malconcio e preoccupato. La NSR non mi era piaciuta&rdquo;. Poi un secondo test, con questa moto che non sembrava funzionare come serviva a te. &ldquo;Andammo in Malesia, dove si sarebbe corsa la prima gara. Erv Kanemoto, il capotecnico che mi seguiva e che aveva gi&agrave; lavorato con me nei titoli vinti in 250, si era dato da fare per assecondare le mie esigenze. Finalmente, mi trovavo bene. Il tecnico ufficiale della Showa ci fece provare un sacco di roba per le sospensioni. Fece il massimo per assecondarmi, mi diede tutto. Probabilmente, serviva anche a lui...&rdquo;. Come si svilupp&ograve; a quel punto il rapporto con la Showa? &ldquo;Dissero che ci avrebbero fornito forcella e ammortizzatori dei piloti ufficiali. Ma occorreva pagare per avere materiale cos&igrave; speciale e diverso dallo standard. La cifra era esorbitante, tipo 150.000 dollari soltanto per la forcella. Il mio ragionamento: sono matti? Avevamo fatto diverse giornate di test, per far funzionare il loro materiale. E a loro vantaggio. Era quello, il modo di trattarci?&rdquo;. La prima gara, proprio in Malesia, a Shah Alam: cosa ricordi? &ldquo;Vinsi, ma dalla Honda non venne nessuno a complimentarsi. Sembrava avessimo fatto qualcosa di male. In quel momento compresi che sarebbe tata tosta, da l&igrave; in avanti. Mi ero messo dietro Doohan e ci&ograve; aveva creato qualche rigidit&agrave;. All&rsquo;HRC faceva piacere se uno vinceva una gara ogni tanto, gli dava anche una mano, magari per la gara di casa". &nbsp; Luca Cadalora: cuore e coraggio  Cosa intendi con &ldquo;dare una mano&rdquo;? &ldquo;Assistenza. Magari a livello di sospensioni, come quella che avevo avuto nei test&rdquo;. Quindi, dopo la tua vittoria qualcuno si era indispettito. &ldquo;Non ci fu pi&ugrave; alcuna forma di supporto. Anzi, fu guerra. Ma noi reagimmo spiazzando di nuovo tutti. Prima del GP di Jerez, il quarto di una stagione che ne contava 15, chiedemmo all&rsquo;HRC di montare forcelle &Ouml;hlins, che si trovavano sul mercato. Noi avevamo le moto in leasing, eravamo tenuti a chiedere l&rsquo;autorizzazione alla Honda, che fra l&rsquo;altro era legatissima alla Showa, della quale avevamo declinato quell&rsquo;offerta economicamente cos&igrave; impegnativa. Ero convinto che prendendo le &Ouml;hlins, che saranno costate 9000 dollari e non 150.000, e lavorandoci noi, io ed Erv, saremmo andati meglio che con il materiale che ci avrebbe preparato la Showa&rdquo;. La Honda vi sbatt&eacute; la porta in faccia? &ldquo;Tutt&rsquo;altro: a sorpresa ci autorizz&ograve;. Andammo a Jerez e la gara fu una grande lotta fra me, Alex Criville e Doohan, che vinse. Lo spagnolo cadde (avvenne all&rsquo;ultima curva del GP ricordato per l&rsquo;incredibile invasione del pubblico negli ultimi due giri, nde) e io arrivai secondo con questa soluzione ibrida, la forcella &Ouml;hlins davanti e l&rsquo;ammortizzatore Showa dietro. Ero il primo dei privati: questo sollev&ograve; l&rsquo;attenzione degli altri team satellite. Alex Barros chiese subito le &Ouml;hlins. Insomma, avevo creato un altro problema&rdquo;. Quell&rsquo;anno vincesti anche in Germania, in volata proprio su Doohan. Negli ultimi giri sorpassavate i doppiati come birilli: vi prendevate dei rischi, eh? &ldquo;Fa parte delle corse. Erano battaglie all&rsquo;ultimo sangue, le nostre. Anche con Wayne Rainey, di cui sono stato compagno di squadra in Yamaha. Oppure Kevin Schwantz. Non sapevi mai cosa aspettarti, da loro. Era sempre una sorpresa. Dov&rsquo;era il limite, non si sapeva&rdquo;. A proposito di bagarre: il tuo arrivo in volata con Helmut Bradl a Misano nel 1991 &egrave; storia. Sulle 250, usciste dall&rsquo;ultima curva appaiati e vi appoggiaste l&rsquo;uno all&rsquo;altro, a gomiti larghi. Cosa si prova in momenti come quello? &ldquo;Diventi quasi un animale. Una belva. Non vale soltanto per me, ma per tutti i piloti. Quando i confronti sono cos&igrave; accesi sei disposto a qualsiasi cosa. Fa anche un certo effetto dirlo. Ma sai com&rsquo;&egrave;...&rdquo;. &Egrave; appagante vincere cos&igrave;? &ldquo;Il massimo della libidine, della trance agonistica. Adrenalina pura, ti d&agrave; una scossa incredibile. Sei riuscito a restare in piedi quando non c&rsquo;era pi&ugrave; margine&rdquo;. Tu, per&ograve;, non eri uno che guidava sopra i problemi. &ldquo;Se non sentivo la moto come piaceva a me, non riuscivo a dare il 100%. Ce l&rsquo;avevo dentro, era automatico. Andavo al 95%. L&rsquo;avevo imparato cadendo parecchio ai tempi della 125, ai miei inizi. Avevo fatto dei bei voli&rdquo;. Cosa chiedevi a livello di sospensioni? &ldquo;Ci sono piloti che sfruttano la dinamica di movimento della moto, per guidare. Altri invece la contrastano: vogliono un mezzo che si muove meno, pi&ugrave; rigido, per usare la forza nei movimenti. La mia guida era meno fisica, assecondava le inerzie, gli spostamenti, i cambiamenti di baricentro, di peso&rdquo;. Come ti sentivi, quando eri a posto con la messa a punto? &ldquo;Dava un gusto incredibile. Era come se la moto fosse un prolungamento del mio corpo. La sella diventava il mio sedere, collegato alla gomma posteriore. Le braccia un tutt&rsquo;uno con la forcella, fino alla ruota. Una sensazione davvero bellissima&rdquo;. &nbsp; Luca Cadalora, Kenny Roberts, Giacomo Agostini  &Egrave; vero che con Roberts, nella prima met&agrave; degli anni &rsquo;90, usavate gi&agrave; la videometria? &ldquo;Avevamo uno studio con la moviola, per mandare le immagini avanti e indietro, al rallentatore. Potevamo vedere, per esempio, se la mia forcella affondava del tutto in una determinata staccata e compararla con quella di Wayne&rdquo;. In 250 hai corso nel team di Giacomo Agostini, in 500 con Roberts e con un compagno di squadra come Rainey: da loro hai assorbito tanto? &ldquo;Se eri sveglio, imparavi parecchio. Ho avuto la fortuna di lavorare con gente che ha segnato delle epoche. Alcuni team, per&ograve;, li ho anche fatti tribolare. Non ero facile da gestire. Magari ero felice e poi avevo giornate storte. Se ero girato male, mi chiudevo in camera e non c&rsquo;ero per nessuno&rdquo;. &Egrave; vero che intonavi i pezzi d&rsquo;opera per Kenny? &ldquo;A lui piaceva molto sentire cantare in italiano. Pure il vino, apprezzava. E non soltanto. Davo il mio meglio. Quando le gare andavano bene, la domenica sera, tutto il team andava a cena, una trentina di persone. A turno, a un certo punto, ognuno si alzava e diceva o faceva qualcosa. In quei momenti, ho anche intonato qualche passo d&rsquo;opera&rdquo;. Hai lavorato con parecchie realt&agrave; non italiane e parlavi un buon inglese: di chi era il merito? &ldquo;Di Eddie Lawson: quando correvo in 250 per Agostini, lui era in 500 nella stessa struttura. Era un esempio per me. Mi ospit&ograve; a casa sua, a Upland, in California. Ogni tanto c&rsquo;erano i suoi amici e la sua ragazza, a volte eravamo soltanto noi due. Quindi imparare la lingua fu una necessit&agrave;. Deve avermi ascoltato quando chiamavo la mia famiglia, perch&eacute; a un certo punto inizi&ograve; a chiamarmi &lsquo;Ciao mama&rsquo;. Era la mia formula d&rsquo;esordio quando ero al telefono. Ci divertimmo un sacco, fu fantastico&rdquo;. Fra i tuoi rivali qualcuno ti ha svelato dei segreti, anche involontariamente? &ldquo;Imparai moltissimo da Toni Mang. Ricordo l&rsquo;87: ero all&rsquo;esordio in 250 e andavo a palla. La Yamaha sembrava fatta apposta per me. Mang aveva 37 anni, io 24. Pensavo: questo tedesco non va. Ad Anderstorp, in Svezia, sorpassavo tutti all&rsquo;esterno, lui compreso. La sua era una strategia: si era risparmiato, si era lasciato superare, ma all&rsquo;ultimo giro pass&ograve; davanti e col cavolo che riuscii a replicare. Compresi di dover imparare da lui: non serve andare sempre al 100%, a ogni curva, a ogni staccata&rdquo;. Come vivevi la competizione? &ldquo;Non ho mai corso contro qualcuno. Forse a inizio carriera, ma poi ho capito che non era la cosa giusta. Volevo essere il pi&ugrave; veloce, indipendentemente dagli altri. Correvo per me stesso. Altrimenti mi avrebbe creato uno stato d&rsquo;animo non ideale. Magari altri piloti cercavano quella motivazione l&igrave;, ma la mia carriera nasceva da una spinta positiva: per andare bene, dovevo essere sereno. Non potevo provare odio&rdquo;. Com&rsquo;era scattata la molla? &ldquo;Un giorno, da ragazzino, ero nel garage di casa e trovai delle riviste in cui si parlava di mio padre. Era stato un pilota, negli anni &rsquo;50, e c&rsquo;erano delle sue foto sul podio: fino a quel momento, per&ograve;, non avevo mai sentito parlare di questo aspetto della sua vita. Gli chiesi: &lsquo;Ma sei tu questo? E come mai hai smesso?&rsquo;. Mi spieg&ograve; che era la sua passione, ma poi aveva conosciuto mia madre e messo su famiglia, doveva lavorare per sostenerci, cos&igrave; aveva abbandonato. Ci&ograve; fece nascere in me l&rsquo;idea di fare qualcosa a cui mio padre aveva dovuto rinunciare. &Egrave; la motivazione che mi ha spinto sempre. Fino alla fine&rdquo;. Calendario MotoGP 2023       

La storia del pilota emiliano, raccontata in questa intervista esclusiva

Luca Cadalora: il pilota che ha sempre seguito il cuore | Storie Sprint

        L&rsquo;Italia &egrave; sempre stata terra di motori e di grandi piloti, non &egrave; un caso che molti dei record pi&ugrave; importanti siano di marchio tricolore, come ad esempio il maggior numero di titoli iridati o di GP vinti, entrambi nelle mani di Giacomo Agostini. L&rsquo;Italia detiene inoltre anche un altro record particolarmente attraente, quello che la vede in cima a tutte le altre nazioni per ci&ograve; che riguarda i GP vinti dal 1949 ad oggi, se considerate tutte le classi. A dimostrazione di una scuola di piloti che da sempre ha prodotto grandi risultati, in tutte le categorie. Nella top five dei piloti azzurri pi&ugrave; vincenti di sempre in termini di Gran Premi vinti (contando tutte le classi della storia del motomondiale) troviamo i due piloti pi&ugrave; rappresentativi della nostra storia, ma non mancano anche alcune sorprese provenienti dalle classi minori.  5) Luca Cadalora &ndash; 34 vittorie tra 125, 250 e 500 Nella top five dei piloti italiani pi&ugrave; vincenti tra tutte le classi troviamo Luca Cadalora, pilota del motomondiale dal 1984 al 2000 e vincitore di tre campionati del mondo, nel 1986 in 125 in sella alla Garelli e nel 1991 e 1992 in 250 con Honda. Il pilota modenese, famoso per la sua guida pulita e scorrevole ebbe un&rsquo;ottima carriera anche in 500, concludendo da vice-campione del mondo nel 1994 alle spalle di Mick Doohan, ed in terza posizione nel biennio successivo, sempre dietro al campione australiano. Le vittorie totali di Cadalora sono 34, di cui 4 ottenute nell&rsquo;anno del primo titolo in 125, vinto precedendo Fausto Gresini. Il modenese trionf&ograve; in 22 occasioni in 250, categoria nella quale, come detto, conquist&ograve; due titoli mondiali battendo Helmut Bradl (padre di Stefan Bradl) e Loris Reggiani. In 500 invece l&rsquo;italiano vinse 8 volte, il primo successo arriv&ograve; a Donington Park nel 1993 su Wayne Rainey, mentre l&rsquo;ultimo durante il GP di Germania nel 1996 quando ebbe la meglio su Mick Doohan e Alex Criville.  Nella prossima pagina trovi il podio degli italiani pi&ugrave; vincenti &nbsp; 4) Carlo Ubbiali&nbsp; - 39 successi e 9 titoli mondiali Dobbiamo andare indietro nel tempo di qualche decennio per trovare il quarto classificato di questa speciale classifica, Carlo Ubbiali. Il nove volte iridato (6 volte in 125 e 3 in 250) vanta 39 successi nelle piccole cilindrate, 26 in 125 e 13 in 250. La prima vittoria della carriera del pilota italiano avvenne nella seconda edizione del motomondiale, nel 1950, quando trionf&ograve; nel GP dell&rsquo;Ulster davanti al connazionale Bruno Ruffo. Gli ultimi due successi di Ubbiali risalgono invece al GP delle Nazioni corsosi a Monza nel 1960, quando vinse dapprima la gara della 125 e poi quella della 250, rispettivamente su Bruno Spaggiari e Jim Redman.  3) Max Biaggi &ndash; 42 vittorie, 29 in 250 Il gradino pi&ugrave; basso del podio dei piloti italiani pi&ugrave; vincenti &egrave; occupato da Max Biaggi, probabilmente il volto pi&ugrave; rappresentativo dell&rsquo;Italia delle due ruote negli anni 90&rsquo;, dall&rsquo;alto dei suoi 4 titoli mondiali in 250. Il pilota romano pu&ograve; vantare 42 vittorie totali in carriera nel motomondiale, arrivate tra la 250 (29), la 500 (8) e la MotoGP (5). Dal 1994 al 1997 Biaggi domin&ograve; in maniera incontrastata la classe intermedia e nel suo anno da rookie in 500 nel 1998 termin&ograve; da vice-campione del mondo alle spalle di Mick Doohan. In top class il pilota romano concluse in seconda posizione in altre due occasioni, nel 2001 e nel 2002, entrambe le volte dietro al rivale di sempre, Valentino Rossi. La prima vittoria della lunga carriera del pilota italiano arriv&ograve; nel 1992 in 250, quando vinse davanti a Loris Reggiani. L&rsquo;ultimo successo &egrave; datato 2004, quando ebbe la meglio su Alex Barros.  Passa alla prossima pagina per scoprire chi &egrave; l'italiano pi&ugrave; vincente &nbsp; 2) Valentino Rossi &ndash; 115 successi, 89 in top class Il campione di Tavullia &egrave; il pilota pi&ugrave; vincente di sempre in termini di GP per ci&ograve; che riguarda la top class, ma per quanto concerne la classifica relativa alle vittorie tra tutte le classi occupa la piazza d&rsquo;onore. Le vittorie di Valentino Rossi sono 115, frutto di 12 successi in 125, 14 successi in 250, 13 in 500 e 76 in MotoGP. Il nove volte iridato &egrave; uno dei (soli) due piloti capaci di superare quota 100 vittorie nella storia del motomondiale, non arrivando alla vetta per sole sette lunghezze.  1) Giacomo Agostini &ndash; 122 trionfi tra 350 e 500 A primeggiare nella classifica relativa ai piloti italiani (e in questo caso non solo) pi&ugrave; vincenti di sempre &egrave; sempre lui, parliamo del 15 volte campione del mondo Giacomo Agostini. Con 122 successi &ldquo;Ago&rdquo; &egrave; il pilota che domina la classifica, frutto di 54 vittorie in 350 e di 68 in 500. "Ago" ottenne il suo primo successo di una lunga e leggendaria serie di vittorie nel 1965 nel GP della Finlandia, battendo Paddy Driver e Fred Stevens mentre l'ultimo successo risale al 1977, quando in occasione del GP di Germania corso al Nurburgring ebbe la meglio su Marco Lucchinelli e Pat Hennen. MotoGP, i circuiti pi&ugrave; pericolosi: dove si rischia la vita         

Nella top five dei piloti di stampo tricolore pi&ugrave; vittoriosi in termini di GP troviamo tre specialisti delle classi minori

MotoGP: ecco la top-5 dei piloti italiani più vincenti tra tutte le classi

        Che strana la vita, due ricorrenze dolceamare nell&rsquo;arco di pochi giorni. Prima Marco Simoncelli, 36 anni il 20 gennaio, ed oggi Fausto Gresini che avrebbe compiuto 52 anni se le complicazioni del Covid non lo avessero portato via il 23 febbraio di due anni fa. Nonostante i due anni passati senza Fausto, l'ex pilota e manager emiliano vive ancora nei cuori degli appassionati e soprattutto della famiglia, capitanata da Nadia Padovani che ha preso in mano le redini del Team Gresini sin dalla scomparsa del marito e con i figli Luca e Lorenzo nei ruoli di team manager di Moto2 e MotoE. Ricordiamo che a Fausto Gresini &egrave; stata intitolata la Variante Alta dell&rsquo;Autodromo di Imola.&nbsp; Il post social di Lorenzo Gresini  Il primo messaggio di auguri non poteva che arrivare dal figlio Lorenzo che su facebook ha messo questo post&nbsp;  La carriera da pilota&hellip;  12 anni, tanto &egrave; durata la carriera da pilota del Motomondiale di Fausto Gresini. Inizia al Gran Premio delle Nazioni 1982 in 125 con la MBA senza peraltro vedere il traguardo. Nel 1983 rimane in MBA disputando l&rsquo;intera stagione cogliendo il primo podio di carriera, il secondo posto in Svezia. Il nono posto finale non convince MBA che lo cede a Garelli per il 1984. Sale sul podio a Silverstone ed al Mugello (Gran Premio di San Marino) e coglie il primo successo di carriera proprio in Svezia chiudendo al terzo posto il campionato. Nel 1985 arrivano altri tre successi ed il titolo di campione del mondo con 105 punti, l&rsquo;anno successivo si piazza al secondo posto alle spalle del connazionale Luca Cadalora mentre nel 1987 domina la stagione riprendendosi il titolo iridato con 10 successi e 150 punti totali. Resta in Garelli anche nel 1988 prima di passare in Aprilia nel 1989 e nel 1990 passa in Honda. Nel biennio 1989-1990 non riesce a lottare per il titolo, mentre in quello successivo, 1991-1992, &egrave; due volte secondo in campionato alle spalle prima di Capirossi e poi di Gramigni. Le stagioni 1993 e 1994 sono le ultime della carriera di Gresini che appende il casco al chiodo prima dell&rsquo;inizio del 1995. &hellip;e quella da manager  Nel corso della sua carriera da manager, Fausto Gresini ha avuto tanti piloti tra 500, MotoGP, Moto2, Moto3 e MotoE: da Alex Barros a Loris Capirossi, da Marco Melandri a Daijiro Kato, a Marco Simoncelli, Alex De Angelis, Sete Gibernau, Alvaro Bautista fino agli ultimi Fabio Di Giannantonio ed Enea Bastianini. Da team manager ha vinto i titoli 250 e Moto2 con Daijiro Kato e Toni Elias, il titolo Moto3 con Jorge Martin e quello MotoE con Matteo Ferrari al debutto della categoria. La vita da team manager gli ha riservato anche dei dolori difficilmente colmabili: le morti di Daijiro Kato e di Marco Simoncelli. Il primo &egrave; morto prima della gara in Sudafrica per le ferite riportate nell&rsquo;incidente di Suzuka nel 2003, il secondo a Sepang il 23 ottobre 2011 mentre era lanciato verso un bellissimo finale di stagione dopo il podio in Australia.       

Oggi il manager emiliano, scomparso il 23 febbraio di due anni fa, avrebbe compiuto 52 anni. Tante le manifestazioni di affetto verso di lui, soprattutto dalla famiglia

Buon Compleanno, Fausto!

        Con la vittoria del titolo di Pecco Bagnaia sono diventati sette i piloti di stampo tricolore ad essere riusciti a vincere l'iride nella massima serie del motomondiale in tutta la storia. Parliamo di Umberto Masetti, Libero Liberati, Giacomo Agostini, Marco Lucchinelli, Franco Uncini, Valentino Rossi e Pecco Bagnaia. Per ci&ograve; che riguarda invece le vittorie in termini di GP, sono "solo" cinque i piloti azzurri ad essere andati in doppia cifra; l'ultimo ad entrare in questo ristretto novero &egrave; stato proprio il campione del mondo della Ducati, che con 11 successi occupa la quinta casella e durante la stagione 2023 avr&agrave; l'occasione di diventare addirittura il terzo pilota italiano pi&ugrave; vincente della storia.  5) Pecco Bagnaia - 11 vittorie  Sono 21 le vittorie complessivie di Bagnaia nel motomondiale, se considerate tutte le classi. Sono invece 11 i successi ottenuti in top class, tutti arrivati nell'ultimo biennio, con la prima vittoria targata Aragon 2021 (al termine di un gran duello con Marc Marquez) e l'ultima, al momento, coincidente con il trionfo di Sepang 2022 ai danni di Enea Bastianini. Un numero destinato a crescere, sia per la giovane et&agrave; del pilota di Chivasso sia per lo stato di forma e l'evoluzione tecnica e mentale mostrata negli ultimi anni, coronata con la conquista del titolo. L'esplosione definitiva avvenuta ad Aragon 2021 ha portato a 11 successi in 26 gare disputate, una percentuale da vero dominatore della categoria. Di questo passo per Bagnaia non &egrave; impossibile (anzi, tutt'altro) pensare di giungere al terzo posto di questa speciale classifica gi&agrave; durante il 2023, che vede al terzo posto un altro pilota dal passato Ducati, fermo a 15 vittorie in top class. Chi si aggiudica i gradini pi&ugrave; bassi del podio? scoprilo nella prossima pagina&nbsp; &nbsp; 4) Max Biaggi - 13 successi dal 1998 al 2004 Il pilota romano si ferma ai piedi del podio di questa speciale classifica, con 13 trionfi ottenuti tra il 1998, anno in cui vinse la sua prima gara in top class all'esordio, impresa mai pi&ugrave; riuscita a nessuno, ed il 2004, quando si iss&ograve; sul gradino pi&ugrave; alto del podio del Sachsenring, battendo la concorrenza di Alex Barros e Nicky Hayden. Dal 1998 al 2002 Biaggi corse in sella alla Yamaha, terminando da vice-campione del mondo nell'anno dell'esordio alle spalle di Mick Doohan e poi nel 2001 e nel 2002 dietro all'acerrimo rivale, Valentino Rossi. Il quattro volte campione del mondo della 250 (e bicampione del mondo della Superbike), seppur non sia mai riuscito a trionfare in 500\MotoGP, resta uno dei protagonisti pi&ugrave; illustri del panorama motociclistico italiano nella massima serie. Per pi&ugrave; di un decennio ha occupato la piazza d'onore nella classifica dei piloti italiani con pi&ugrave; vittorie in top class, venendo sopravanzato nel 2019 da Andrea Dovizioso.  3) Andrea Dovizioso - 15 vittorie, la prima nel 2009, l'ultima nel 2020  Il forlivese occupa il terzo gradino del podio a quota 15 successi. La prima vittoria di Dovizioso in MotoGP risale al 2009, quando in sella alla Honda del team ufficiale ebbe la meglio su Colin Edwards e Randy De Puniet in una piovosa Donington. Gli anni trascorsi in Ducati dal 2013 al 2020 sono stati i pi&ugrave; proficui per il pilota italiano, capace di classificarsi per ben tre occasioni in seconda posizione al termine del campionato (sempre dietro Marc Marquez). L'anno migliore del "Dovi" &egrave; senza dubbio il 2017, quando vinse in 6 occasioni giocandosi il titolo fino all'ultima gara. L'ultimo squillo del campione del mondo 125 del 2004 risale invece al 2020 quando in Austria conquist&ograve; la sua 15esima e ultima vittoria in top class, battendo Joan Mir e Jack Miller. Come detto per&ograve;, nel 2023 la terza posizione di Dovizioso &egrave; messa in pericolo dall'arrembante arrivo di Pecco Bagnaia, che qualora dovesse vincere per cinque volte sorpasserebbe il connazionale. Gli ultimi due piloti hanno fatto la Storia, scopri chi sono nella prossima pagina &nbsp; 2) Giacomo Agostini - 68 vittorie in 500 Il pilota pi&ugrave; titolato della storia occupa la piazza d'onore con 68 trionfi ottenuti complessivamente dal 1965 al 1977. "Ago" ottenne il suo primo successo di una lunga e leggendaria serie di vittorie nel 1965 nel GP della Finlandia, battendo Paddy Driver e Fred Stevens. Negli anni successivi Agostini domin&ograve; in ogni modo, basti pensare che dal 1968 al 1970 vinse in tutte le gare a cui prese parte. L'ultimo successo risale al 1977 quando in occasione del GP di Germania corso al Nurburgring ebbe la meglio su Marco Lucchinelli e Pat Hennen. Con le vittorie in 350, Agostini svetta invece nella classifica dei piloti pi&ugrave; vincenti di tutti i tempi se considerate tutte le classi; mentre nella sola top class deve accontentarsi di classificarsi alle spalle di un altro italiano.  1) Valentino Rossi - 89 trionfi dal 2000 al 2017 Il nove volte iridato di Tavullia &egrave; il pilota italiano pi&ugrave; vincente in top class in termini di GP vinti. Con 89 successi, Rossi primeggia in questa speciale classifica,&nbsp; inoltre anche il pi&ugrave; vincente di sempre in top class. La prima vittoria dell'ex pilota Yamaha risale al 2000, quando trionf&ograve; sull'acqua di Donington. Nel 2001, 2002 e 2005 Rossi ebbe le sue stagioni migliori in MotoGP, collezionando ben 11 vittorie. L'ultimo trionfo del "dottore" risale invece al 2017, con il decimo successo ad Assen, ottenuto battendo la concorrenza di Danilo Petrucci e Marc Marquez.&nbsp;  MotoGP: Le Mans ospiter&agrave; il 1000&deg; GP della storia del motomondiale        

Il 26enne di Chivasso nel 2023 avr&agrave; l'occasione di diventare il terzo pilota italiano pi&ugrave; vincente in termini di GP vinti in top class (500-MotoGP)

MotoGP: top-5 degli italiani più vincenti in top class, Bagnaia vicino al podio

        Quello di Misano sar&agrave; un week-end di gara particolarmente intenso per tutti i fan della MotoGP; Andrea Dovizioso &egrave; pronto ad appendere il casco al chiodo e con lui lascer&agrave; le corse anche Ramon Forcada. Lo storico capotecnico spagnolo &egrave; stato protagonista per anni insieme ai migliori piloti della top class: Alex Criville, Alex Barros, John Kocinski, Carlos Checa fino a Jorge Lorenzo, Maverick Vinales, Franco Morbidelli ed infine Andrea Dovizioso. Con il passaggio del Team RNF in Aprilia, Forcada ha deciso di ritirarsi, al termine di una fantastica carriera. Wilco Zeelenberg e Razlan Razali commentano il ritiro di Forcada  In occasione della gara sanmarinese il Team Principal del Team RNF Razlan Razali si &egrave; espresso sull'imminente addio del pilota forlivese e del capotecnico spagnolo: "Sar&agrave; una gara speciale ed emozionante, essendo l'ultima gara per Andrea Dovizioso e allo stesso tempo il suo GP di casa. Allo stesso tempo, sar&agrave; la nostra ultima gara insieme a Ramon Forcada. &Egrave; stato un piacere lavorare con lui dal 2019. &Egrave; una persona di grande esperienza e conoscenza, che ha vinto diversi Campionati del Mondo. Gli auguriamo tutto il meglio per la sua prossima impresa e vogliamo ringraziarlo per tutto ci&ograve; che ha fatto durante la sua straordinaria carriera e ha contribuito alla nostra squadra da quasi quattro anni a questa parte". Un tributo doveroso per un capotecnico che soprattutto con Jorge Lorenzo ha contraddistinto una buona fetta dell'era moderna della MotoGP, restando per tanti anni ai massimi livelli nel suo ruolo. Alle parole di elogio di Razali si &egrave; aggiunto anche il Team Manager Wilco Zeelenberg: "Misano &egrave; sempre una gara speciale, soprattutto per la posizione sul mare vicino a Rimini. Ovviamente dobbiamo andare al lavoro, ma incontri sempre persone che sono l&igrave; in vacanza. Andrea (Dovizioso) ha deciso di chiudere la sua carriera in MotoGP, quindi sar&agrave; il suo ultimo round. Sembra che sar&agrave; anche l'ultimo round per Ramon con noi. Certo, &egrave; una strana sensazione, &egrave; stato quattro anni con questa squadra e ho lavorato con lui dal 2010, il che significa che in realt&agrave; sono 13 stagioni insieme, &egrave; molto tempo. Non sono sicuro di quanti GP abbia fatto, ma abbiamo vinto tre campionati insieme a Jorge Lorenzo, che &egrave; un grande risultato&rdquo;.      Andrea Dovizioso ai saluti: "Sono felice di finire a Misano"  Volge dunque al termine un'era, con il ritiro di due assoluti protagonisti degli ultimi vent'anni di corse. Per il forlivese sar&agrave; inevitabilmente un week-end di gara speciale: "San Marino &egrave; l'ultimo Gran Premio. Sar&agrave; molto insolito e strano dopo tutta la mia carriera. Eppure, sono molto felice di finire a Misano con tutti i miei amici e tifosi. Spero che sar&agrave; un grande fine settimana. Sar&agrave; molto importante essere competitivi, provare a fare punti e penso che avremo quattro giorni buoni l&igrave; e una grande festa&rdquo;.   MotoGP, Aprilia accoglie Oliveira e Fernandez nel Team RNF        

Lo storico capotecnico Yamaha lascer&agrave; il motomondiale insieme al pilota forlivese, in occasione del GP di San Marino

MotoGP Misano: insieme a Dovizioso si ritira anche Ramon Forcada

        Il mondo dei motori piange la scomparsa di Nicola Materazzi, ingegnere che ha fatto la storia del mondo automobilistico e motociclistico italiano. Materazzi aveva 83 anni e si &egrave; spento a Sapri, cittadina nella quale viveva da tempo. MotoGP: la Classifica Piloti dopo il GP Austria L'esperienza in Cagiva  L&rsquo;ingegnere di origini salernitane viene ricordato per il suo notevole impegno nel mondo delle due ruote: gli appassionati ricorderanno il suo lavoro in Cagiva come Direttore Tecnico e Sportivo del Reparto Corse dal 1990 al 1991, periodo nel quale lavor&ograve; agli sviluppi tecnici del motore e del telaio per le 500, dalla C589 alla C591, per piloti come Eddie Lawson e Randy Mamola Prima dell&rsquo;impegno in campo motociclistico, Materazzi scrisse grandi pagine di storia del mondo dell&rsquo;automobile: inizi&ograve; a lavorare in Lancia nel 1968, partecipando anche allo sviluppo della Stratos, prima delle esperienze lavorative in Abarth e Osella.  Il padre della Ferrari F40  I grandi successi di Materazzi sono legati soprattutto alla Ferrari: lavor&ograve; a progetti come la 288 GTO, la Testarossa e, soprattutto, la F40, vettura della quale venne definito il padre per averne seguito l&rsquo;intero iter progettuale. Nel 1991 prese in mano il progetto Bugatti EB110, mentre nel 1994 gli fu affidata la Direzione Tecnica dell&rsquo;Industria Motociclistica Laverda per lavorare allo sviluppo del motore 750 cc. Alla famiglia Materazzi vanno le condoglianze della redazione di Motosprint. Alla scoperta degli ammortizzatori aftermarket YSS       

L'ingegnere aveva 83 anni. Nella sua carriera lavor&ograve; anche per Ferrari (sua la F40), Bugatti e Laverda

Si è spento Nicola Materazzi: lavorò in Cagiva con Mamola e Lawson

        Sul lungo e tortuoso circuito di Silverstone, la piccola cilindrata disputa una sessione di qualifica non priva di sorprese, in cui, tuttavia, non hanno deluso i piloti pi&ugrave; veloci della FP3. Alla fine, a siglare la prima pole position della sua ancor breve carriera, &egrave; il rookie Diogo Moreira, abile a girare a soli 3 decimi dal record della pista siglato da Romano Fenati nella scorsa stagione. Con questo storico risultato, per la prima volta un pilota brasiliano conquista la pole position nella piccola cilindrata. L'ultimo connazionale di Moreira ad agguantare la pole position nel motomondiale fu Alex Barros, che nel 2005 ci riusc&igrave; in MotoGP. Riccardo Rossi si conferma il pi&ugrave; veloce degli italiani, quinto Stefano Nepa  Alle spalle del brasiliano partir&agrave; Izan Guevara, ad oggi probabilmente il favorito per la gara. Lo spagnolo si &egrave; fermato a soli 68 millesimi dal leader di sessione, mettendo le ruote davanti a quelle di Ryusei Yamanaka, che completa la prima fila. Per tutto il week-end Riccardo Rossi &egrave; sembrato tra i pi&ugrave; competitivi tra i piloti italiani; in tal senso la qualifica non ha fatto altro che confermare quanto visto. Infatti il pilota del team Sic 58 partir&agrave; dalla quarta casella, avendo realizzato un buon tempo a 108 millesimi dalla vetta. Ottima prova anche per Stefano Nepa, in crescendo per tutto il week-end e quinto in qualifica, a 72 millesimi da Rossi. I due italiani sembrano essere tornati rinvigoriti dalla pausa estiva, un ottimo segnale in vista della gara di domani. Sesto tempo per Deniz Oncu, appena davanti ad un veloce (soprattutto sul passo) Dennis Foggia. Tatsuki Suzuki partir&agrave; appena dietro al compagno di squadra, davanti a John McPhee e al leader di classifica Sergio Garcia, solo 11esimo ed in difficolt&agrave; per tutto il week-end di gara fino ad ora. 13esimo Andrea Migno davanti a Kaito Toba e Xavier Artigas. L'ordine d'arrivo di Q2 e Q1    MotoGP Gran Bretagna, FP3: Espargaro e Vinales "incastrano" le Ducati        

Il rookie brasiliano partir&agrave; dalla prima casella davanti ad Izan Guevara e Ryusei Yamanaka. Bene gli italiani Riccardo Rossi e Stefano Nepa

70 risultati per 'Alex Barros'